Employability e Competence Development: le nuove sfide della formazione

Il 4 febbraio scorso si è tenuto il secondo incontro del HR Innovation Lab, un ciclo di workshop organizzati dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, a cui hanno partecipato Executive della funzione risorse umane provenienti da diversi settori produttivi. Il workshop aveva l’obiettivo di approfondire l’evoluzione delle attività di formazione e sviluppo, verso approcci a misura di persona, della employee experience abilitata dalle nuove tecnologie e dei percorsi di reskilling e upskilling per facilitare l’employability, a partire dalla survey 2021 condotta dall’Osservatorio tra 100 aziende. In questo articolo, riporteremo quanto emerso durante il workshop, con una particolare attenzione alle nuove sfide della formazione che emergono come diretta conseguenza dei cambiamenti avvenuti nell’ultimo anno.

Compila il form per scaricare il reportage con la sintesi di quanto emerso durante la sessione:


Com’è cambiato il mondo del lavoro nell’ultimo anno

Se oggi vogliamo parlare di sviluppo di competenze, ha dichiarato Corso in apertura del workshop, lo facciamo in un contesto fortemente accelerato. Ci sono trend che abbiamo discusso più volte: globalizzazione, rete delle competenze, trasformazione digitale, la quarta rivoluzione industriale, i cambiamenti demografici nella forza lavoro, invecchiamento, la transizione ecologica, la nascita nuove professioni, e così via. Con la pandemia di Covid-19 questo contesto, già di per sé accelerato, ha subito un’accelerazione ancora più forte, che ha reso evidente lo skill gap interno ed esterno alle aziende italiane. Secondi i dati del World Economic Forum, entro il 2025, circa la metà della forza lavoro mondiale avrà le necessità di attivare un percorsi di upskilling e reskilling verso il digitale

Se poi da un lato alcuni posti di lavoro spariranno, e quelli che rimarranno dovranno subire importanti cambiamenti al fronte di nuove competenze, dall’altro dovremo aspettarci la nascita di 97 milioni di nuovi ruoli più digitalizzati. Al punto che, riportano i dati del WEF, oggi il 94% dei leader aziendali si aspetta che i dipendenti apprendano nuove competenze sul lavoro (contro il 65% registrato nel 2018). Quella che abbiamo di fronte, quindi, appare come una sfida molto diversa dalle precedenti, quando vi era la possibilità di un ricambio generazionale e per l’acquisizione di nuove competenze si poteva far conto sul sistema educativo tradizionale, cioè quello operato dalla scuola e dalle università. Nel mondo accelerato in cui ci muoviamo, è già necessario che siano le aziende ad adoperarsi affinché  i propri dipendenti acquisiscano le nuove competenze necessarie, garantendo loro, così, anche una employability di lungo periodo.

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Come garantire l’employability di lungo periodo

È quindi il momento questo di mettere a frutto quello che abbiamo imparato, dicono dall’Osservatorio, attuando misure che possano fronteggiare la crisi pandemica e contemporaneamente cogliere le opportunità connesse alla transizione digitale. In questo, il Fondo Nuove Competenze previsto nel decreto Rilancio è una risorsa fondamentale che ammonta a 3 miliardi euro da utilizzare da parte delle imprese per fare formazione su nuove competenze. A cui si aggiungo 3 miliardi e mezzo da stanziare per le politiche attive formare coloro che sono rimasti fuori dal mercato del lavoro: un’emergenza che riguarda, lo ricordiamo, in particolare le donne e i giovani. Secondo l’ISTAT, infatti, nel corso dell’ultimo anno di pandemia su 101mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne.

Fiorella Crespi, Co-Director dell’Osservatorio, riporta i dati emersi dalla survey 2021, secondo cui  le iniziative messe in atto dalle aziende per garantire un employability di lungo periodo sono state anzitutto la mappatura e la valutazione delle competenze già presenti nell’organizzazione (43%); seguite dall’attivazione di politiche di up e reskilling (39%); e accompagnate dallo scouting di nuove competenze esterne all’organizzazione nell’analisi di una prospettiva futura (37%).

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Le nuove sfide della formazione

Secondo la survey 2021 le sfide della formazione aziendale oggi sono la continuità dei processi formativi e l’autonomia delle persone nel perseguirli, al primo posto per il 59% delle aziende coinvolte; seguono la comprensione dell’evoluzione delle competenze richieste (49%), la personalizzazione delle misure (46%), l’efficacia online (44%), una user experience ingaggiante (39%), l’importanza di misurare l’impatto della formazione (28%), attivare occasioni di formazione contestuali al bisogno (20%) e, infine, apertura verso l’esterno dei confini organizzativi (11%). 

Un dato interessante è quello che riguarda proprio il monitoraggio delle attività di formazione. Il 95% delle organizzazioni coinvolte nella survey dell’Osservatorio raccoglie dati relativi alle attività formative e solo il 3% di loro non li utilizza. Chi lo fa concentra la sua attenzione sulla qualità delle iniziative formative e sul gradimento delle stesse da parte delle persone, a supporto di una strategia di competence development. A dimostrazione che la direzione che sta prendendo la maggior parte delle imprese è quella di una spinta verso la personalizzazione dei percorsi di crescita e sviluppo delle persone (50%).

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Un nuovo approccio che mette al centro le persone: Connected People Care

Per rispondere adeguatamente a tutte le nuove sfide della formazione e garantire l’employability,  suggeriscono dall’Osservatorio, è necessario ridefinire il processo di formazione e sviluppo secondo l’approccio di Connected People Care. Tale approccio è definito come l’insieme di tutte le pratiche HR disegnate in risposta ad esigenze specifiche, del business e delle persone, rese più efficaci e precise mediante l’utilizzo di dati. Nel CPC, il ruolo della Direzione HR è quello di prendersi cura delle proprie persone, personalizzando i servizi e rimanendo sempre connessa con l’intera organizzazione. In altri termini, in tale approccio Il collaboratore e la collaboratrice sono ingaggiati e coinvolti sempre più nel paradigma organizzativo e nei processi HR che li riguardano.

Martina Mauri, Co-Director dell’Osservatorio, commenta che assumere un approccio CPC è importante per creare un ambiente efficace, capace cioè di rispondere alle sfide presentate poco sopra. In che modo? Facendo dialogare tre fattori: il coinvolgimento della persona, la responsabilità, in particolare in termini di dati, e gli strumenti digitali a sua disposizione. Dalla survey emerge che il 50% ha ancora un approccio top/down, in cui è la direzione a definire i contenuti formativi; mentre, il restante 50% propone maggiore autonomia e responsabilizzazione delle persone per il percorso di crescita che le riguarda, in collaborazione con la direzione HR. È poi la persona stessa che sceglie come utilizzare il budget formativo che l’azienda le destina, in un’ottica di uno sviluppo sempre più personalizzato delle competenze al fine di portare valore all’organizzazione. 

Certo, tale approccio, per essere efficace, presuppone un grande lavoro sulla cultura aziendale che coinvolge tutte le persone a tutti i livelli dell’organizzazione.

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WindTre: un’esperienza di coinvolgimento da cui prendere spunto

Elisa Fumagalli, Head of Learning & Development di WindTre, racconta il modo in cui l’azienda ha saputo far dialogare la cultura aziendale con questo nuovo approccio. Attraverso una survey interna, la direzione HR ha scelto di coinvolgere le sue persone, a qualsiasi livelli, indagando il set di patrimonio digitale interno. Tale DNA digitale, se così si può chiamare, è stato articolato in quattro ambiti, per facilitare le persone a esprimere la propria opinione. Tali ambiti sono stati: le Digital soft skill, da un punto di vista comportamentale; le Hard Skill, come matrice tecnica per lavorare; le Job related skills, distintive per l’azienda; e  le Innovazioni, cioè quelle competenze che si aggiungono in maniera trasversale e definiscono la particolarità di approccio di ciascuna persona.

La survey è stata proposta a tutto il personale di WindTre, con una UX leggera, colorata e allegra. Il questionario, composto da circa 90 domande, aveva la durata di un’ora ed è stato compilato da più del 90% dei e delle dipendenti. Fondamentale in questo successo, ha raccontato Fumagalli, il coinvolgimento dei direttori, che per primi si sono messi in gioco e hanno dato l’esempio, a dimostrazione che il coinvolgimento diretto delle persone è la chiave per la loro partecipazione attiva e per l’engagement aziendale.

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