Come aumentare il senso di appartenenza tra trasparenza, inclusione e formazione

Non si tratta tanto dell’ufficio, ma del senso di appartenenza. Se volessimo condensare in una sola frase quello che le aziende stanno provando in questi mesi in cui si lavora in modalità ibrida o si è tornati tutti in presenza, questa frase riuscirebbe a farlo al meglio. Tutte le imprese, dalle più piccole fino alle più grandi e strutturate, stanno vivendo questo 2022 all’insegna di un generalizzato calo di appartenenza. Che in alcuni contesti è molto più sentito, in altri un po’ meno. E con la Great Resignation che resta comunque uno spauracchio e con il Covid che è sotto controllo ma le preoccupazioni relative ai contagi restano, è un tema che non si può trascurare.

E allora come colmare questa mancanza di senso di appartenenza e come svilupparlo  anche in ottica talent retention? Cerchiamo di scoprirlo partendo con dei numeri che ci aiutano a tratteggiare il fenomeno per poi vedere in pratica alcuni “tips” per cercare di aumentare motivazione e senso di appartenenza.

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Cos’è il senso di appartenenza oggi e quanto influisce sulla talent retention

Prima di tutto: cosa intendiamo per senso di appartenenza all’azienda nel 2022?
Sentirsi parte di un’impresa, così come di un progetto o di un team, significa sostanzialmente avere una sorta di “attaccamento emotivo” che culmina nell’avere voglia di dare un forte contributo con il proprio lavoro e nel condividere pertanto valori e ideali dell’azienda. Il senso di appartenenza, poi, fa il paio con l’inclusione. Quando l’inclusione è reale e non si tratta di assimilazione, le persone percepiscono che l’organizzazione si sta prendendo cura di loro, nella loro interezza e autenticità. Ciò non solo crea maggiore fiducia ed engagement, ma crea quell’affezione di cui parlavamo prima.

Il problema è che, come è stato evidenziato dal sondaggio Great Attrition condotto da McKinsey, la maggior parte delle persone che ha lasciato il lavoro ha tra i motivi proprio il fatto di non provare più senso di appartenenza. E la percentuale non è affatto trascurabile: si tratta del 51%. Inoltre, il 46% ha proprio espresso il desiderio di lavorare con persone di cui si fida e si prendano cura degli altri.
Relazioni forti, connessioni, riconoscimento sono obiettivi cui un’azienda deve ambire ancora di più oggi.

E questo perché, se da un lato lo smart working ha permesso di andare avanti e a molte persone di vivere in località più adatte a loro o vicine alla famiglia, diventando anche uno strumento di talent attraction, questo in un certo senso ha scalfito il senso di appartenenza all’azienda. Soprattutto lì dove il collante era sostanzialmente l’ufficio e non la sensazione di far parte di qualcosa di più grande, il cosiddetto purpose aziendale. Che, attenzione, deve avere una qualche attinenza con il purpose personale perché se una persona porta avanti un lavoro che nulla a che fare ha con le proprie aspirazioni o con quella che vorrebbe essere l’impronta che vuole dare alla società, prima o poi rischia di andarsene.
C’è poi da considerare un altro aspetto: i Millennial sono molto più propensi a cambiare lavoro rispetto a chi ha qualche anno di esperienza in più.

Ecco perché se vogliono mirare a costruire delle comunità, accrescere la coesione e il senso di appartenenza, le organizzazioni devono in un certo senso cambiare approccio e in questo anche la formazione può dare un enorme contributo.
Come farlo? Ecco alcuni suggerimenti.

Avere una comunicazione aperta

Instaurare un dialogo che sia aperto e punti sulla trasparenza è uno dei modi migliori per creare senso di appartenenza. Questo infatti aiuta a creare un ambiente in cui le persone si sentono al sicuro, sanno cosa sta succedendo e non temono che possano esserci sorprese dietro l’angolo. Se si danno continui aggiornamenti su dove l’azienda sta andando, si fissano dei momenti in cui si condividono i successi, ma anche gli insuccessi, c’è una Intranet o una newsletter interna in cui trovano tutte le informazioni di cui hanno bisogno, tutto questo aiuta a creare davvero inclusione.

Puntare sul coraggio di dire e di fare

Connesso a quanto detto sopra, bisogna puntare su due tipi di coraggio tra tutti, come dice Annalisa Galardi nel libro “Il coraggio di decidere”, per creare senso di appartenenza. Uno di questi è il coraggio di dire che è ovviamente il risultato di una comunicazione aperta e condivisa. Se una persona si sente libera di poter esprimere la propria opinione, di dare il proprio feedback senza essere presa di mira o sentirsi da meno perché ha detto una cosa “poco intelligente” o che ha uno scarso riscontro, tutto questo creerà un forte attaccamento all’azienda. Dice infatti la Galardi nel suo libro: “Il silenzio non è sempre, infatti, espressione di consenso, ma spesso timore di esprimersi”. L’altro tipo di coraggio che bisogna allenare è quello di fare considerando l’eventuale fallimento come un metodo di apprendimento permanente che quindi non viene nascosto ma analizzato e valorizzato per quello che può insegnare.

ragazza che presenta alla lavagna

Promuovere i legami sociali

Il calo di motivazione, spesso legato al calo di senso di appartenenza, diventa “gigantesco” quando è trattato individualmente. Cosa significa? Che se una persona sta attraversando un periodo down per motivi personali ma anche legati alla tipologia di lavoro che porta avanti, spesso sono i gruppi a poterle dare nuova linfa.

Lavorare con persone che continuano a mantenere entusiasmo, che stanno apprendendo concetti nuovi, che trovano soddisfazione nel proprio lavoro può innescare una reazione a catena tale da portare una persona demotivata a riconsiderare quello che sta facendo e a trovare il suo perché. Oltre ad avere un aiuto nell’immediato.

Le aziende, pertanto, devono essere consapevoli di ciò e tradurlo nella pratica. Capire cosa crea disfunzioni in un team eventualmente e come correggerle, pensare a formare gruppi di lavoro che possano essere sì eterogenei, ma anche ben amalgamati, promuovere iniziative in cui le persone si possano conoscere come attività formative ad hoc sono solo alcuni modi per provare a superare il calo di motivazione.

Puntare sulla formazione e far crescere le conoscenze

La formazione infatti svolge un ruolo fondamentale per creare senso di appartenenza ed è per questo che va progettata in modo consapevole e collaborativo. Innanzitutto, può diventare il collante delle persone che magari non lavorano insieme ma che “conoscendosi” durante i corsi – magari facendo una pausa caffè o pranzo insieme – possono trovare nuovi stimoli e punti di contatto. Così come può diventare un modo per creare il senso di gruppo. Questo può succedere con i corsi di lingua che, anche se frequentati in modalità one-to-one, non è detto escludano dei momenti formativi di gruppo come possono essere delle sfide, online o dal vivo, per creare engagement o la partecipazione di alcuni eventi in lingua organizzati dall’azienda.

La formazione ha quindi il ruolo di catalizzatrice per il senso di appartenenza aziendale e questo purché sia pensata e modulata sulla persona che la riceverà. C’è infatti quella formazione che viene erogata perché importante per le attività che si svolgono – quindi in ottica upskilling e reskilling – ma c’è anche quella formazione che può andare incontro alle aspirazioni di un dipendente. Per fare un esempio: la persona ha una passione per il cinema francese? Perché non proporre un corso ad hoc per imparare la lingua e conoscere meglio i segreti dei film? Non sarà un investimento che porterà un riscontro immediato, ma se può rientrare in un programma di formazione a costo contenuto, avrà un’enorme ripercussione sul dipendente che si sentirà apprezzato e considerato. Anche per le sue passioni.

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Entrare davvero in contatto con le persone

Quanto appena detto porta a entrare davvero con le persone della tua azienda, a capirne lo stato d’animo, a intuire cosa provano e come si trovano. Non è affatto facile ed è per questo che bisogna andare in due direzioni, sostanzialmente. Da un lato prevedere, se possibile, continui incontri con gli HR, anche in maniera informale: davanti alla macchinetta del caffè, in pausa pranzo o chiedendo consiglio in merito a una competenza che quella persona ha. Questo oltre a progettare dei momenti più “istituzionali” per tastare la situazione.

Dall’altro anche i responsabili dei team dovrebbero creare un rapporto più diretto con i componenti e capire qual è la direzione sia come gruppo che individualmente si sta prendendo. Si possono poi organizzare momenti più “ludici” come pranzi insieme fuori dall’ufficio, anche in località che non siano nelle vicinanze – e in quel caso prevedere più della classica ora di pausa  -, aperitivi ecc… ma anche iniziative come partite di pallavolo, tornei di calcetto e altro. Tutte attività che aumentano il senso di appartenenza.

Creare una cultura di inclusività e appartenenza

Un sondaggio che qualche anno fa è stato fatto su LinkedIn, proprio su cosa fa sentire le persone parte dell’azienda, dava tra le risposte principali:

1) Essere riconosciuto per i miei successi

2) Sentirsi a proprio agio nell’essere me stesso al lavoro

3) Avere l’opportunità di esprimere liberamente le mie opinioni

4) Sentire che i miei contributi alle riunioni del team sono apprezzati

5) Sentire che la mia azienda si preoccupa di me come persona.

Se delle altre affermazioni abbiamo parlato, concentriamoci sulla prima: essere riconosciuti per i propri successi. Questo vuol dire non solo dare dei premi produzione, ma sottolineare quanto più possibile quello che la persona ha fatto, facendole vivere un momento di gloria. Alla fine se l’è meritato, perché non “festeggiarlo” per un po’?

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