Ageismo sul posto di lavoro: una discriminazione di cui si parla poco ma che “pesa” tanto
L’ageismo sul posto di lavoro è un tipo di discriminazione di cui si parla poco, nonostante la sua prevalenza. Ed è anche un paradosso: le persone lavorano con grande impegno per anni e anni e poi si trovano a essere penalizzate per averlo fatto.
Molti pensano che ci sia un’età specifica oltre la quale si è considerati “vecchi”: per lavorare, per cambiare lavoro, per cominciare a fare qualsiasi cosa. Eppure, è pieno di storie di vite ricominciate anche dopo i cinquant’anni. I pregiudizi sull’età influenzano tanto i datori di lavoro quanto chi cerca un lavoro, incidendo sulla fiducia in sé stessi e sulle proprie capacità e potenzialità.
Questa discriminazione ha anche pesanti conseguenze psicologiche: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che circa 6,3 milioni casi di depressione nel mondo sono attribuiti solo all’ageismo.
Se nella tua azienda ti senti così, c’è un problema di ageismo
Secondo un recente studio americano, il 36% delle persone intervistate crede che l’età sia stata un fattore determinante per essere stato rifiutato per un ruolo. Con una forza lavoro che sta costantemente crescendo, l’ageismo oggi è più spesso un problema affrontato dai lavoratori anziani che da quelli più giovani.
I dati mostrano che le persone oltre i 45 anni vengono assunte meno dei loro colleghi ventenni e che i dipendenti più anziani spesso non ricevono il supporto adeguato necessario per continuare a crescere e a imparare come dipendenti. Questa mancanza di formazione e di attenzione porta spesso i lavoratori più anziani ad essere scavalcati per le promozioni e persino esclusi da varie attività aziendali, come gli eventi di team-building.
La sotto-socializzazione e la tendenza a forzare le dimissioni in base all’età portano i dipendenti più anziani a sentirsi isolati, non rispettati e a temere per il loro futuro.
L’ageismo si paga a caro prezzo in un’azienda
Spesso è solo dopo che un dipendente anziano è stato licenziato, o se ne è andato, che il datore di lavoro si rende conto che è spesso difficile da sostituire. Inoltre, i lavoratori più giovani tendono ad essere molto meno “fedeli” ai loro datori di lavoro e sono più propensi a lasciare l’azienda e cercare nuove opportunità.
Innanzitutto, rivolgere annunci di lavoro solo a persone giovani limita il pool di candidati. I lavoratori con più di 65 anni costituiscono il segmento in più rapida crescita della forza lavoro, mentre il gruppo di età 35-54 sta aumentando più lentamente. Secondo i dati del Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti, il numero di persone di 65 anni e più che stanno ancora lavorando dovrebbe salire al 29% entro il 2060, da appena il 20% di oggi.
I pregiudizi sull’età inoltre incidono sulla produttività dell’azienda, mentre una organizzazione che dà spazio al mix generazionale lavora meglio registra più bassi livelli di turnover.
Gli stereotipi più comuni legati all’ageismo
Alcuni degli stereotipi più comuni relativi alle persone oltre i 50 anni sul posto di lavoro sono che sono “difficili da gestire”, “resistenti al cambiamento”, “tecnologia-fobiche” e “meno innovative”. Questo è il motivo per cui, durante il processo di assunzione, il management tende ad accennare in modo nemmeno troppo sottile il fatto che si stanno cercando persone “energiche”, “fresche”, “agili”, nel tentativo di scoraggiare i lavoratori più anziani dal fare domanda.
Ma questi criteri di selezione spesso si rivelano fumosi, così come gli stereotipi si rivelano infondati e non corrispondenti al vero atteggiamento e comportamento delle persone.
Il primo passo per combattere l’ageismo è la formazione
In realtà, la riluttanza percepita come luogo comune dei lavoratori anziani non propensi ad apprendere nuove competenze e la loro resistenza al cambiamento riflettono la riluttanza del datore di lavoro a fornire una formazione adeguata ai dipendenti che hanno più di 50 anni.
Le opportunità di formazione e sviluppo dovrebbero essere disponibili per tutti i dipendenti se sono interessati ad imparare ed espandere le loro competenze, indipendentemente dalla loro età o posizione nella gerarchia del posto di lavoro. Inoltre, solo far sapere alle persone che la formazione è disponibile non basta: è meglio incoraggiare i lavoratori a usufruirne offrendo degli incentivi.