3 TED per riflettere sul modo in cui affrontiamo il lavoro e su come le persone stanno in azienda
Lavorare nel mondo delle Risorse Umane, come sappiamo, è tutt’altro che semplice. Oltre a portare avanti le attività di ogni giorno, agli HR è richiesto di essere costantemente aggiornati e captare le nuove tendenze del lavoro, ancor prima che si presentino, oltre a favorire e sviluppare il benessere dei dipendenti. Ecco perché devono avere costantemente le antenne drizzate per essere attenti al valore più prezioso delle aziende di oggi: le persone.
In tutto questo, un modo per “mantenere alto il livello di ispirazione” e portare avanti una riflessione costante sul modo di lavorare e su come le persone stanno in azienda, possono essere d’aiuto i TED talk. Conferenze nate nel 1984, inizialmente con l’idea di parlare di tecnologia e design, oggi affrontano anche tematiche che riguardano la cultura, il mondo del lavoro, la scienza e così via. Di seguito sono nati i TEDX che offrono a gruppi di persone e associazioni la possibilità di organizzare eventi locali in tutto il mondo e su iniziative di singole città.
E tra le ultime novità dei TED c’è la serie The Way We Work in cui gli speaker sono manager, CEO, esperti che offrono idee e strategie (anche immediate) per gestire la complessità del lavoro moderno.
Ed è da questa che abbiamo scelto 3 TED della durata di non più di 6 minuti in modo che possiate ascoltarli durante la pausa pranzo o quando vi prenderete un break in una giornata lavorativa. Di ognuno vi diciamo il titolo, chi lo tiene, perché vederlo e quanto dura.
Cosa rende felici i dipendenti al lavoro di Micheal C. Bush
Micheal C. Bush, CEO di Great Place to Work, ci ricorda come ci siano 3 miliardi di lavoratori sul nostro pianeta e come solo il 40% di essi ammetta di essere felice al lavoro. Cosa fare per rendere felici il restante 60%? Sicuramente non puntare solo su “tavoli da ping pong, massaggi o passeggiate con i cani”, ma quello che conta è come le persone vengono trattate dai loro manager e dai loro colleghi.
In primo luogo, bisogna aumentare la fiducia e il rispetto, ma farlo davvero e non solo sulla carta. Gli esempi possono essere tanti: dal concedere un benefit come un laptop aziendale senza troppe approvazioni al dire al dipendente “Fai quello che ritieni più giusto quando servi il cliente”. Riconoscere l’autonomia e valorizzarla è sicuramente un grande atto di fiducia.
Altrettanto importante è essere corretti e trattare le persone in modo equo senza fare distinzioni rispetto al ruolo, al genere, all’anzianità. Quando invece ci sono disparità, per esempio legate allo stipendio e al genere, come ha fatto Salesforce, è importante ovviare in tutti i modi possibili.
Altrettanto fondamentale è allenare l’ascolto attivo che non consiste tanto nel ripetere quello che ha detto l’altro per dimostrare che si è prestato attenzione, ma in qualcosa di molto più potente. Si ascolta davvero qualcuno quando si riesce a far capire il peso che l’idea o la proposta di una persona può avere avuto o ha su una decisione presa da un manager.
Essere in grado di comunicare qualcosa di così apparentemente “disruptive” può influire tantissimo sulla felicità di una persona che non solo si sente accolta, ma davvero riconosciuta.
Come ridurre i bias sul luogo di lavoro di Kim Scott e Trier Bryant
Kim Scott, autrice e co-founder di Just Work e Trier Byrant, ex CEO di Just Work, pongono l’attenzione, in questo TED, sull’importanza di ridurre i bias sul luogo di lavoro, sfida che è possibile superare grazie a degli specifici accorgimenti.
Il primo è quello di creare un vocabolario condiviso che tutti concordino nell’utilizzare per interrompere i bias e i comportamenti pregiudizievoli. In molti casi, ricordano Scott e Bryant, le persone non sono consapevoli di stare perpetrando dei bias o dei pregiudizi. Ci sono poi quelle volte in cui magari se ne rendono conto, ma non sanno come ovviare al problema.
Può essere utile, dicono le due professioniste, utilizzare una “purple flag” per far capire che si sta usando un’espressione che porta avanti un bias. Questa bandiera lilla è meno “scoraggiante” di una bandiera rossa, ma è ugualmente in grado di catturare l’attenzione. Scott e Bryant la usano nella loro azienda come sorta di parola d’ordine per identificare i pregiudizi che compaiono nelle riunioni. Questo permette di stimolare la conversazione e la riflessione per “normalizzare” il fatto che tutti noi abbiamo dei pregiudizi che vanno analizzati.
Gli altri interessanti consigli riguardano l’inserire una norma comportamentale condivisa e accettare un impegno condiviso. Nel primo caso, di fronte a qualcuno che ci ha segnalato che stavamo perpetrando un bias, è importante ringraziare di averlo fatto notare, anche se non lo si è capito del tutto e chiedere l’opportunità di approfondirne il motivo nell’immediato, se possibile, o successivamente.
Bisogna poi cercare di affrontare i pregiudizi in ogni riunione per far capire alla persona che l’ha commesso che non è l’unica a portarli avanti, ma che “tutti commettiamo questi errori e stiamo imparando insieme come non farli”.