Perennials: chi sono i nuovi talenti da attrarre

Siamo nel 2021 ed è tempo di cambiare il modo in cui costruiamo i target delle nostre attività di comunicazione, di employer branding e di vendita. Al giorno d’oggi, suggeriscono gli esperti di marketing, è tempo di disegnare nuovi modelli basandoci sui dati, più che sulle generalizzazioni. Sono anni ormai che la tendenza a classificare il pubblico a cui ci rivolgiamo in base all’anno di nascita è predominante: chiamiamo boomers i nati tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80, millennials i nati tra il 1985 e il 1995 e generazione Z i nati negli anni 2000.

All’ingresso del primo ventennio del nuovo millennio ci saremmo dunque aspettati una nuova classificazione per i nati dopo il 2010. “Ma questo tipo di classificazione”, avvertiva già nel 2016 la guru del marketing Gina Pell, “ci ha fatto perdere di vista cosa conta davvero, ha fatto perdere alle aziende moltissime opportunità di incontrare davvero i propri clienti ideali. Focalizzando l’attenzione su chi è nato nello stesso periodo, abbiamo lasciato andare tutti coloro che, invece, condividono gli stessi interessi, a prescindere dall’età”.

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In un articolo pubblicato su The What, la stessa Pell propone un nuovo gruppo a cui sarebbe stato più efficace rivolgere la propria comunicazione. Frutto di questa nuova modalità di targetizzazione, basata sulla forma mentis più che sull’età, Pell ha creato il termine perennials, che suona come millennials, ma non ha niente a che vedere con l’età anagrafica. In questo articolo abbiamo cercato di disegnare l’identikit di questo nuovo gruppo trasversale alle generazioni che, secondo gli esperti di marketing, costituisce il pubblico su cui puntare nel 2021. Sarebbero loro, dunque, i nuovi talenti da attrarre.

Chi sono i perennials

 

I perennials sono persone curiose e sempre in fiore, di tutte le età, e che sono consapevoli di cosa sta accadendo nel mondo. Sono al passo con la tecnologia e hanno amici di ogni età”, scrive Gina Pell su The What. “Amano lasciarsi coinvolgere, sono curiosi, fanno da mentore, sono appassionati, creativi, sicuri di sé, collaborativi, hanno un mondo di pensare globale, si assumono rischi perché continuano a spingersi oltre i limiti e sanno come azzardare”. Pell li definisce senza badare all’età, sostenendo che si può essere un perennial, un sempreverde mentale, a 10, 30 e 60 anni.

Il termine nasce proprio dal suo tentativo di creare una segmentazione dei target di mercato non basata sulla generazione, a suo parere un modello riduttivo e ormai antiquato, ma sull’attitudine dimostrata dalle persone. Un’attitudine che, scrive Pell, permette alle persone perennial di dimostrarsi vincenti sotto più punti di vista.

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Ma qualcosa è andato storto: chi si identifica perennials ha in comune anche qualcos’altro

 

Nonostante gli sforzi di Pell, a soli quattro anni dopo la sua invenzione, il termine oggi ha finito per indicare una specifica classe di età. Le grandi agenzie di consulenza operanti nella vendita, nel marketing e nelle HR utilizzano infatti il termine per fare riferimento alle persone che hanno tra i 40 e i 60 anni e che hanno una forma mentis più simile a quella dei loro figli che a quella dei loro genitori. A porre le basi di questa confusione potrebbe essere stata la stessa Pell che, nonostante tutti i suoi buoni propositi, già nell’articolo del 2016 si rivolge in particolare agli over 40 scrivendo: “La mezza età non deve essere vista come un periodo di crisi. E noi non siamo più solo un numero tra i millennials e i boomer. Noi siamo rilevanti, noi siamo sempreverde, noi siamo perennials”.

Questo cambio di significato del termine va per la maggiore anche in Italia. Vanity Fair, nel 2019, descrive le perennials come le over 40 dall’età indecifrabile, donne che per il 90% hanno un’attitudine più giovane delle loro madri alla stessa età, i cui due terzi si sentono più ambiziose di dieci anni fa e di cui il 78% ha più appetito per nuove esperienze. A rafforzare questo passaggio da una categoria trasversale alle generazioni e ai generi a una categoria di nicchia che descrive persone nate prima del boom economico che però presentano un’attitudine aperta più dei nati dopo il 2000, anche la nascita di una community online di donne over 50, nata da poco su Facebook e Instagram, e che si chiama proprio Le Magnifiche Perennial.

Cosa chiedono agli HR i e le perennials

 

Indipendentemente dal suo uso, possiamo comunque pensare alle perennial, come persone caratterizzate da una forma mentis che le porta a fare di tutto per diventare la migliore versione di loro stesse. Per questo, già dal 2019, i e le perennials hanno iniziato a entrare nei radar di chi si occupa di HR e sono stati definiti i talenti da attrarre nel 2021. C’è chi in questa forma mentis vede, in particolare per gli e le over 40, un’opportunità per rientrare in un mercato del lavoro, come quello italiano, poco interessato, soprattutto negli ultimi anni, a dare una seconda chance a coloro che appartengono a questa fascia di età. Se, invece, decidiamo di tenere buona la teoria di Pell, e dunque pensare ai e alle perennial come a una categoria trasversale le generazioni, possiamo dire che i perennials cercano percorsi di carriera flessibili e leader capaci di restare al loro fianco ispirandoli a diventare chi desiderano essere.

Negli ambienti di lavoro, inoltre, i e le perennials tendono a fare gruppo tra di loro, sostenendosi e spingendosi reciprocamente verso il meglio. Un successo che si definisce sempre in base al percorso precedente che li ha condotti sino al presente. Dice Pell, in una nota aggiunta al suo articolo su The What nel 2018, che chi è perennial, indipendentemente dal loro anno di nascita, si riconosce in quanto vettore di innovazione, capace di portare novità in un gruppo di lavoro, in un progetto, in un’organizzazione, grazie alla sua tendenza ad aprirsi verso il nuovo e a fiorire costantemente, ispirando le altre persone a fare altrettanto.

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