Perché i tuoi dipendenti lasciano l’azienda?

Settembre è come gennaio, rientrati dalle vacanze, si fanno bilanci sul passato e si cerca di progettare un futuro migliore. Solo che, a settembre, c’è ancora tempo e modo per correggere il tiro. Se molte aziende nell’ultimo anno si sono trovate di fronte all’annoso problema di dover scegliere quali persone tenere e quali lasciare andare per far quadrare i conti a conclusione di un anno e mezzo di pandemia, molte altre sono state messe di fronte alle conseguenze di scelte sbagliate compiute negli ultimi mesi. 

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La maggior parte dei dipendenti, per esempio, ha dichiarato di essere pronta a licenziarsi qualora l’azienda avrebbe confermato la volontà di eliminare lo smart-working una volta rientrata l’emergenza pandemica; il mercato del lavoro nell’ultimo anno e mezzo si è fatto molto competitivo, complice il grande turnover che ha caratterizzato quelle organizzazioni che non hanno saputo accompagnare le proprie persone durante le fasi più critiche della pandemia. I dati parlano chiaro: un lavoro pessimo è sopportabile, un pessimo capo o pessimi colleghi, no. Vediamo insieme allora quali sono i fattori che spingono le persone a lasciare l’azienda e quali invece quelli che le invogliano a restare e a investire nella propria partecipazione attiva alla vita dell’organizzazione. 

Perché i dipendenti lasciano l’azienda

Da una ricerca condotta qualche anno fa e pubblicata sulla rivista Psychoneuroendocrinology, è emerso che il rapporto tra l’attività svolta e il mancato riconoscimento dei meriti incide molto più negativamente sulle persone rispetto ad altri fattori, quali per esempio l’orario di lavoro o la tipologia di mansione svolta. In altre parole: un pessimo lavoro è sopportabile, un ambiente di lavoro pessimo no. Lo rivelano anche le recensioni negative presenti in un noto social network dedicato a chi cerca lavoro, che sono per la maggior parte riguardanti un capo poco competente, colleghi o colleghe troppo competitivi e, in generale, una mancanza di fiducia reciproca tra persona e azienda. 

Il sintomo più comune non è dunque un semplice malcontento, quanto invece uno stress cronico che può divenire patologico qualora le persone non si sentano ascoltate nelle proprie esigenze e aspettative. I ricercatori hanno infatti rilevato un più alto tasso di cortisolo, elemento fisiologico scatenante dello stress, nell’organismo dei soggetti monitorati dello studio. Sembrerebbe dunque che le persone si licenziano quando non sono ascoltate, quando non vedono i propri meriti riconosciuti, quando lavorano in un ambiente troppo competitivo alle dipendenze di un capo poco competente e incapace di riconoscere il giusto valore delle persone che compongono il suo team. Tutte queste mancanze, infatti, sono sufficienti a portare le persone a cercare altro, anche a fronte di situazioni economiche vantaggiose. 

In sintesi, oggi i motivi che spingono una persona a licenziarsi sono:

1) un pessimo capo,

2) scarsa riconoscenza del proprio valore e del proprio contributo,

3) clima competitivo,

4) discriminazione,

5) poca flessibilità di tempi e modalità di lavoro.

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Perché i dipendenti restano in azienda

Non è dunque una questione, solo, di soldi. Se infatti la proposta economica è un fattore discriminante all’ingresso, non lo è allo stesso modo in uscita. I fattori che spingono i e le dipendenti a restare in azienda, infatti, hanno molto più a che vedere con quello che Forbes, nel suo stilare la classifica annuale Best Workplaces Italia, chiama Trust Index, cioè l’indicatore della fiducia reciproca tra persone e aziende. Secondo Forbes, infatti, le aziende migliori dove lavorare (e questo è valido per l’86% dei collaboratori delle organizzazioni classificate) sono quelle in cui le persone sanno di potersi fidare dei propri manager. Sono quelle in cui si collabora efficacemente con i propri colleghi e la linea aziendale è stata condivisa in modo trasparente a tutti i livelli dell’organizzazione, al punto che i collaboratori e le collaboratrici si dicono orgogliose delle scelte fatte.  

Possiamo quindi riassumere in questo modo i driver del benessere delle persone in un’azienda che le spinge a restare e a investire nel successo dell’organizzazione:

1) attenzione ai bisogni della persona,

2) la possibilità di comporre il proprio pacchetto di benefit,

3) la possibilità di definire insieme gli obiettivi,

4) flessibilità sui tempi e i modi di lavoro (smart-working),

5) piani di carriera equi, condivisi e facilmente accessibili,

6) uno stipendio adeguato alle esigenze e alle mansioni,

7) vedersi riconosciuto il proprio valore,

8) avvertire il supporto e la stima dei colleghi,

9) riconoscere inclusione in azienda,

10) vedere soddisfatte le proprie aspettative,

11) contare sulla competenza, umana e professionale, del proprio manager.

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