Maternità e lavoro: c’è ancora tanta strada da fare. Insieme!

In Italia essere una mamma lavoratrice è un privilegio. Alle difficoltà che le donne incontrato al loro rientro al lavoro, si somma un quadro normativo che considera ancora la genitorialità come un’esperienza esclusivamente femminile e una mancanza di attenzione generalizzata che si esprime anche nella mancanza di dati specifici sul tema. Gli ultimi dati raccolti sul rapporto tra maternità e lavoro sono vecchi di sei anni: l’ultimo rapporto risale infatti al 2016, anno in cui circa 30mila donne con figli minori di tre anni hanno scelto di rinunciare al lavoro perché le condizioni a cui erano state sottoposte al rientro dalla maternità non gliel’hanno più concesso. Mobbing, demansionamento, riduzione del salario, sono solo alcune delle sfide che le donne si trovano ad affrontare al rientro dalla maternità, a cui si aggiunge un lavoro domestico e di cura che spetta ancora totalmente all’80% delle donne italiane.

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Così, non stupisce che nell’anno della pandemia, secondo l’ISTAT, più sono i figli, maggiore è il divario nei tassi d’occupazione femminile e maschile. Il tasso di occupazione femminile è calato di diversi punti percentuali in tutto il Paese, scendendo intorno al 30% al sud (la media Europea è il 62,4%). Nel 2020 sono occupate otto madri laureate su dieci e il divario del tasso di occupazione va dal 81,4% delle madri laureate nel Nord a un minimo di 17,1% delle madri del Mezzogiorno con basso titolo di studio. Oltre a un welfare inadeguato alle esigenze lavorative, a un quadro normativo poco aggiornato e ancora troppo focalizzato solo sull’equilibrio vita-lavoro femminile, a mancare sono anche politiche ed esempi che aiutino le giovani donne a restare nel mondo del lavoro e soprattutto a ricoprire ruoli decisionali. 

Ne abbiamo parlato con Mary Aimée Abdel Sayed, Network Leader di Lean In Network – Milan, branch italiana di Lean In, organizzazione internazionale che aiuta le donne a raggiungere i propri obiettivi professionali per creare un mondo più equo, proprio attraverso l’incontro tra donne professioniste, lo scambio di esperienze e un aumento generale della consapevolezza di sè e del proprio percorso di carriera. 

Maternità e lavoro: quali bias e quali difficoltà vivono oggi le neo mamme italiane?

La maternità genera false supposizioni relative al fatto che le donne possano divenire meno impegnate sul lavoro quando diventano madri. Cadiamo nella trappola di pensare che le madri lavoratrici non siano interessate alla crescita professionale e, di conseguenza, pronte ad abbracciare incarichi più sfidanti o a intraprendere viaggi di lavoro, per esempio. E poiché pensiamo che siano meno interessate al lavoro, alle donne vengono richiesti standard più elevati ed è più probabile che siano penalizzate per piccoli errori o sviste.

Il programma di Lean In 50 ways to Fight Bias sviluppato in collaborazione con esperti e organizzazioni partner tra cui Stanford VMware Women’s Leadership Innovation Lab, affronta, tra gli altri, anche i pregiudizi legati alla maternità. Nei workshop che organizziamo con Lean In network – Milan, i bias sulla maternità sono sempre i più dibattuti e accendono gli animi di donne e uomini.

Alcuni studi dimostrano che la “barriera materna” che le donne devono affrontare quando hanno figli rappresenta il più forte pregiudizio basato sulle differenze di genere, e che tutti cadono in questa trappola, non solo gli uomini. Inoltre, è un pregiudizio che inizia molto presto, già quando la donna è molto giovane. Da alcune ricerche emerge che quando gli Hiring manager scoprono dal CV che una donna ha figli, magari perché il CV evidenzia una lunga pausa tra un lavoro e un altro, questa ha il 79% di probabilità in meno di essere assunta. E se fosse assunta, le sarebbe offerto una media di  11.000$ in meno di stipendio. Negli ultimi anni, emerge dagli studi che anche gli uomini possono essere giudicati male per via dei figli. I padri che prendono un periodo di ferie per motivi familiari ricevono valutazioni di rendimento inferiori e subiscono riduzioni più significative dei guadagni futuri rispetto alle madri che lo fanno.

donna incinta che lavora

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La pandemia ha inciso su questa situazione?

Ha influito moltissimo, purtroppo. Un punto chiave che è emerso nel 2020 dal sesto rapporto Women In The Workplace, report annuale realizzato da LeanIn.org e McKinsey & Company, è che le madri lavoratrici sono profondamente preoccupate per l’impatto del Covid-19 sulla propria carriera. Hanno tre volte in più la probabilità dei padri di doversi occupare della maggior parte dei lavori domestici e dell’assistenza alla famiglia e il doppio delle probabilità che le loro prestazioni vengano giudicate negativamente a causa di questo. 

Lo stesso rapporto, pre-pandemia, del 2019, aveva evidenziato che il 40% delle donne aveva a dichiarato di svolgere tutte o la maggior parte delle cure per l’infanzia e delle faccende domestiche nelle proprie famiglie. Solo il 12% degli uomini poteva affermare la stessa cosa. Sullo stesso tema, nel 2020 una nuova ricerca di LeanIn.Org e SurveyMonkey, ha rivelato che dall’inizio della pandemia l’80% delle madri ha svolto più lavori domestici, con le donne latine e nere che dedicano ancora più tempo alle faccende domestiche rispetto alle donne bianche.

E questo non conta tutto il carico emotivo che le donne tendono a sostenere, che è causa di burnout.

C’è molta strada da fare affinché le madri si sentano supportate a casa e al lavoro, dai partner che si fanno avanti per svolgere i lavori domestici, alle aziende che offrono opzioni più flessibili, alle politiche che aprono la strada a soluzioni per l’infanzia tanto necessarie. Credo quindi che fare sensibilizzazione su questi temi sia molto importante.

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