Maestra sì e notaia no? La parità di genere nei nomi professionali, perché anche il mondo HR dovrebbe occuparsene

Negli ultimi anni la questione della declinazione dei nomi professionali al femminile ha smesso di essere appannaggio delle Accademie ed è entrata nel dibattito pubblico. Grazie alla progressiva presa di coscienza delle disparità esistenti, ma soprattutto grazie all’accesso a posizioni da cui finora le donne erano state escluse, è sempre più evidente che il nostro linguaggio deve ormai adeguarsi ai tempi che cambiano.
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Anche nel mondo del lavoro continuano ad esserci molte resistenze ad adottare un linguaggio più equo e attento alla parità di genere, nonostante le numerose direttive e raccomandazioni provenienti da autorevoli istituzioni, accademie e organizzazioni. Poiché ognuno di noi può dare il suo contributo, vorrei condividere alcuni spunti tratti da articoli che ho letto di recente e che hanno vinto le mie ultime resistenze ad un sereno utilizzo dei nomi al femminile:
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  • I nomi professionali femminili sono forme previste dalla lingua italiana e sono sempre esistiti, non si tratta di una moda recente;
  • Si sente dire che alcuni femminili “suonano male” – di fatto perché non siamo abituati a sentirli, si tratta di un giudizio soggettivo e mutabile. Inoltre, a meno che non si stia scrivendo un poema, possiamo permetterci di sacrificare il nostro soggettivo senso estetico a favore di un linguaggio più preciso e adeguato;
  • Non si tratta di una questione femminista, né di essere politicamente corretti (semmai la correttezza è di tipo grammaticale). La società sta cambiando e le lingue vive si adeguano. Se la parola sarta va bene per indicare chi ha confezionato il nostro abito, per quale motivo sarebbe da femminista chiamare sindaca chi presiede la giunta?
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In che modo la funzione HR può contribuire a realizzare la parità di genere sul lavoro anche da un punto di vista linguistico? Prima di tutto, adeguare i job title e verificare che laddove una posizione è occupata da una donna, il nome professionale che ne descrive il ruolo sia correttamente declinato al femminile. La stessa attenzione andrebbe posta anche nel redigere gli annunci di lavoro.
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Inoltre, a costo di risultare pignoli, ricordare ai colleghi meno sensibili al tema l’esistenza dell’equivalente femminile, laddove si ostinino a impiegare il maschile sovraesteso. Se ritenuto necessario, creare delle linee guida interne volte a favorire un linguaggio non discriminante sul luogo di lavoro.

Non da ultimo, ogni volta che abbiamo un dubbio linguistico consultare un buon dizionario e cercare la voce femminile sotto al corrispettivo maschile.

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