Le performance review hanno ancora senso? Ecco come migliorarle in un mondo del lavoro profondamente cambiato

Come ogni trimestre, anche per questo ultimo quarter che chiude l’anno, si torna a parlare di performance review. Due parole inglesi che indicano la valutazione delle prestazioni dei lavoratori che può essere fatta annualmente, trimestralmente o anche ogni sei mesi, a seconda delle necessità. Una prassi importante per capire come si sta andando rispetto agli obiettivi di business e per vagliare se se ne potranno raggiungere di nuovi.

Se infatti il significato di performance review è quello di revisione del lavoro fatto fino a quel momento, questa diventa fondamentale per analizzare qual è l’apporto che ogni persona, assunta da poco, o in azienda da tempo, sta dando in termini di produttività e non solo. Si può utilizzare la performance review anche per capire se il dipendente o collaboratore è in linea con la cultura aziendale, se è realmente ingaggiato e tanto altro ancora.

Ma le performance review così come sono state fatte finora hanno ancora senso in un mondo del lavoro profondamente cambiato per via della pandemia? O bisognerebbe modificare qualcosa per renderle meno stressanti per i lavoratori?

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I dipendenti non amano le performance review: ecco perché

Come è emerso dalla SHRM Annual Conference & Expo 2021, i dipendenti non amano molto le performance review e hanno quasi paura dei feedback. Il 18% delle donne, per esempio, ammette di aver pianto dopo aver ricevuto la propria performance review così come ha fatto anche il 25% degli uomini. Ma non solo lacrime: le performance review alimentano anche la competizione. Che, come sappiamo, in alcuni casi può essere persino sana, ma non sempre è così. C’è chi, sentendosi in gara con gli altri, può sviluppare invidia, paura del confronto e avere costantemente la sensazione di essere da meno per arrivare addirittura a bloccarsi.

Non tutti infatti reagiscono allo stesso modo sentendosi, cioè, stimolati a fare di meglio, ma, anzi, la performance review potrebbe proprio sortire l’effetto opposto. Un dipendente potrebbe dire “Mi sono impegnato tanto, e nonostante tutto, e non è valso a nulla”.

Cosa potrebbe essere quel “nonostante tutto”? Una situazione familiare non serena oppure l’aver lavorato in condizioni non proprio agevoli: in smart working da casa, senza una scrivania, facendo i salti mortali per aiutare i figli in DAD e nel contempo continuando a lavorare, partecipando a riunioni fiume alle 8 di sera e saltando spesso le pause pranzo. Lo sappiamo tutti: il 2020 e ancor di più il 2021, con lockdown e zone rosse, non sono stati anni facili e questo potrebbe avere influito sul rendimento.

ragazza che presenta alla lavagna

Le performance review servono ancora?

Ciò significa che le performance review non hanno più senso? Sicuramente continuano ad averlo anche perché sono uno strumento fondamentale per agevolare il processo decisionale e stabilire quali persone promuovere o eventualmente licenziare. Inoltre, continuano a essere un momento in cui si danno dei feedback che, anche se non sempre graditi, possono essere costruttivi e trasformarsi successivamente in azioni concrete. Senza dimenticare, poi, che le performance review servono a capire le dinamiche di gruppo, se è necessario un nuovo innesto o investire sulla formazione di alcuni dipendenti.

Tutto questo sicuramente non si discute, ma si può intervenire per migliorare le performance review. Ecco come.

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Come migliorare le performance review

Se è vero che per i dipendenti si tratta di momenti stressanti, avere un riscontro continua a essere basilare per loro, ma anche per l’azienda stessa. Ecco allora alcuni consigli per migliorare la performance review.

– Dare feedback in maniera più frequente

Converrete che una performance review annuale o semestrale genera sicuramente molta più ansia di un confronto continuo. Nel primo caso, infatti, il lavoratore cerca di rinviare mentalmente quel momento e quando si sta per avvicinare lo affronta con un certo timore. Se invece i feedback sul lavoro svolto sono costanti, se ci si ritrova a parlare delle attività svolte in maniera più frequente e più “informale” questo è doppiamente positivo. Perché? Intanto perché il dipendente ha l’opportunità di cogliere quanto gli è stato detto e di aggiustare subito il tiro senza aspettare dei mesi e perché, così, sa già cosa aspettarsi durante la performance review.

– Puntare su feedback oggettivi

Anche il modo in cui si danno i riscontri conta molto ed è importante che i manager cerchino di essere più oggettivi e concreti possibili. Dire “Non mi piace come conduci le riunioni con i clienti” è sicuramente un feedback soggettivo che non aggiunge molto. Mentre un feedback come “Anziché condurre le riunioni in questo modo, potresti fare questo” aiuta il dipendente a capire subito cosa non va e cosa può fare per migliorare. Inoltre, avrà la sensazione che il riscontro che riceve si basa su dei fatti e non su delle sensazioni.

– Chiedere ai dipendenti cosa ne pensano

Un feedback – parola che sta per feed “nutrire” e back “indietro” – dovrebbe essere un momento di arricchimento da entrambe le parti. Ecco perché sarebbe meglio non essere monodirezionali, ma chiedere al lavoratore cosa pensa di quello che è stato detto. Ciò fa sì che ci sia uno scambio reale e che il dipendente non si senta messo sotto accusa.

– Usare il momento della performance review per conoscere chi si ha di fronte

In un mondo del lavoro in cui si parla di Great Resignation, ossia di grandi dimissioni, il momento della performance review dovrebbe andare oltre la valutazione della prestazione. Il manager dovrebbe quindi partire da quanto è stato fatto, certo, ma anche prendersi del tempo per sapere come e cosa sta vivendo il dipendente. Chiedere come sta, se ha risolto i suoi problemi di salute, come stanno mogli/mariti/compagni e figli è sicuramente un modo per dimostrare vicinanza e interesse alla persona, e non solo al lavoratore. Certo, purché non si sfoci nell’invadenza.

Inoltre, si parla sempre più di purpose, ossia scopo, personale. Avere il “coraggio” di chiedere al dipendente se il lavoro è in qualche modo in linea con il proprio purpose o chiedere quale sia, permette non solo di conoscerlo meglio, ma anche di capire quali possano essere i progetti futuri più adatti a quello che è in grado di fare o ambisce a fare.

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