Cos’è la normalità? Buone pratiche di approccio alla diversità in azienda

Il 22 giugno Stefano Ferri – scrittore, imprenditore e comunicatore – Fabrizio Acanfora – Neurodiversity Advocate e autore – e Laura Fabbri – HR Innovation Manager & Presidente Comitato Consultivo Specialisterne, hanno partecipato al webinar Neurodivergenza e comunicazione inclusiva: buone pratiche di approccio alla diversità in azienda” organizzato da Speexx in collaborazione con Comunicazione Italiana. Durante l’evento si è parlato di neurodiversità e neurodivergenza, provando a individuare le buone pratiche HR di gestione della diversità in azienda grazie al racconto e alle esperienze personali e professionali dei tre ospiti, impegnati in primissima linea nella comunicazione e divulgazione su diversità e inclusione.

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Diversità e inclusione: una coppia vincente?

Fabrizio Acanfora:Io farei uscire la parola inclusione dal diversity management dei prossimi anni. L’inclusione è escludente perché presuppone l’esistenza di una maggioranza che deve includere e di una minoranza, difettosa, anormale, che deve essere inclusa. Ci avete mai fatto caso che gli interventi di inclusion in azienda sono sempre verticali? Si fa il webinar, il training e, nel caso della persona autistica per esempio, l’HR le spiega come adattarsi al meglio per sopravvivere in azienda. La persona autistica in azienda sa che dovrà uniformarsi ai comportamenti, alla socialità e alla comunicazione delle persone neurotipiche (eh non vieni mai alla birra del giovedì, come sei asociale…). Nell’inclusione manca totalmente l’idea di reciprocità”.

Stefano Ferri:Essere diversi è normale, Nessuno di noi 8 miliardi di esseri umani è uguale a qualcun altro. Il mio essere diverso risulta pertanto essere irrilevante, dato che lo siamo tutti. 

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Ma che cos’è la normalità?

Laura Fabbri:Io credo che a volte sia un limite. è dall’incontro di diversità che nasce valore. Invece noi in azienda diciamo di volere il pensiero divergente, out of the box, ma poi quando ce l’abbiamo davvero, non siamo capaci di capirlo o di accettarlo per come è, e lo scartiamo tornando invece su qualcosa che ci fa sentire più sicuri, La diversità è il vero valore, per l’azienda, in termini di talento, competenze e produttività, e sociale, perché aumenta l’employability di persone che a oggi non sono”.

Stefano Ferri:è la frequenza a dare la percezione della normalità. Io mi trovo a rappresentare una minima parte statistica di uomini cross-dressed, cioè che indossano abiti tradizionalmente associati al femminile, tubino e tacchi a spillo per esempio. Allora, scatta in noi la paura che il giudizio di valore che allo scostamento statistico rispetto alla norma corrisponda un giudizio in negativo sulla nostra persona e sul nostro valore. La paura genera due conseguenze: la prima è chiedere il permesso. l’ho fatto per 10 anni e ho scoperto per esperienza personale che la mia insicurezza, rendeva anche i miei interlocutori e interlocutrici insicure e, dunque, apriva la nostra relazione alla presenza di pregiudizi. Oggi, invece, so che se vado in contro a una persona con il sorriso, sicuro di me, come sono vestito smette di essere un tema dopo la prima sorpresa. 

La seconda conseguenza della paura nasce dal nostro essere, in fondo, animali. E poiché quando gli animali hanno paura, aggrediscono, gli altri vedono la nostra paura e la nostra aggressività e si chiudono a riccio. A chiunque abbia il mio stesso desiderio, dico: si guardi allo specchio e sia orgoglioso di come è. Io sono uscito vivo da tutto questo e ora, dopo vent’anni, lo posso dire: cominciamo, usciamo di casa. Un piccolo passo fuori dalla porta può contribuire ad abrogare anche le convenzioni più radicate”.

Fabrizio Acanfora:Se proviamo a vedere le differenze come una normale espressione della diversità, accade che non esiste più normalità e anormalità, giusto o sbagliato, ma persone differenti una dall’altra. La neurodiversità è definita come biodiversità neurologica, cioè la naturale diversità tra un cervello e l’altro. Cosa significa questo? Che la normalità non esiste, ma noi tendiamo comunque a voler conformare tutto ciò che ci risulta più diverso a una norma che abbiamo definito. Questo risulta particolarmente evidente di fronte alla disabilità o alla neurodivergenza, che vengono viste, soprattutto in azienda, attraverso un modello riparativo, come se cioè fossero deficit che devono essere aggiustati, e si cerca di normalizzare i comportamenti che sono una manifestazione visibile della diversità”.

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Quale prospettive per il diversity management?

Laura Fabbri:L’azienda deve imparare a chiedere e a non interpretare. Per aprire un canale di comunicazione e di fiducia dove la persona può davvero portare le sue istanze e richieste. Fare formazione sulla diversità, in questo senso, significa informare e formare le parti che si incontrano – il nuovo collaboratore o collaboratrice neurodivergente, i manager, il team – per creare relazione e comprensione reciproca. Anche la presenza di un coach, una figura professionale che segue il team di lavoro nel corso del tempo, può essere molto utile per aumentare il tasso di relazione”.

Fabrizio Acanfora:Il diversity management potrebbe andare in questa direzione: quando si fa formazione in azienda sembra che si stia sempre parlando di qualcun altro e non di me, e invece sì dato che siamo tutti diversi. La formazione che serve oggi è allora quella che coinvolge le persone dal basso. La vera inclusione è quella in cui le persone si scambiano conoscenze e punti di vista, dove nessuna è migliore dell’altra, e si va insieme verso una convivenza delle differenze. Così nessuno è quello difettoso, ma semplicemente ciascuno funziona in modo diverso. E se ci ascoltiamo, senza avere lo scopo di cambiare l’altro o l’altra, il vantaggio è per tutti e tutte, a livello individuale e aziendale”.

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