Job hopping: saltare da un lavoro all’altro | Contano l’equilibrio vita-lavoro e i valori dell’azienda, lo stipendio viene dopo

Job hopping significa “saltare da un lavoro a un altro”. Il termine viene dagli Stati Uniti e indica un fenomeno sempre più ricorrente: cambiare spesso lavoro, allontanandosi dall’idea, da molti reputata di altri tempi, di passare la propria vita in un solo luogo di lavoro, che in alcuni casi coincide anche con la stessa posizione lavorativa. Insomma, sembra che il tanto agognato posto fisso stia perdendo la sua attrattività. Ma i fattori in gioco sono diversi: soprattutto in mercati del lavoro instabili e precari il job hopping spesso non solo è un desiderio di andare a lavorare in un ambiente migliore ma diventa necessario per trovare un lavoro dignitoso e soddisfacente.

Di certo però questa tendenza è il segno di una rivoluzione culturale. Il job hopping è passato dall’essere un segno negativo nel susseguirsi delle esperienze nel curriculum a un nuovo modo di approcciare la ricerca del lavoro.

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Perché si sente il bisogno di cambiare lavoro?

La ricerca dell’Institute for Business Value (IBM) spiega che il primo e principale motivo per cui le persone cambiano lavoro è perché vogliono spostarsi in un luogo che sia più attento al benessere dei dipendenti, favorendo l’equilibrio tra vita privata e lavoro. La flessibilità è diventata un requisito essenziale, complici gli anni di pandemia, e quindi i lavoratori sentono il bisogno di orari elastici e della possibilità dello smart working.

Pesano anche il desiderio di essere valorizzati e avere concrete opportunità di crescita professionale. Lo stipendio viene dopo, che sia il pensiero di guadagnare troppo poco rispetto al carico di lavoro oppure cercare di spostarsi per guadagnare di più. Inoltre, più di un terzo del campione della ricerca di IBM è attento ai valori propri della realtà di lavoro.

ragazza che presenta alla lavagna

Qual è la generazione del job hopping

Le persone oggi cercano, e pretendono, di più del solo stipendio dai loro datori di lavoro. Questo vale soprattutto per i lavoratori più giovani e quindi coloro che sempre di più saranno nel mercato del lavoro: nella ricerca IBM solo il 29% dei soggetti appartenenti alla Generazione Z ha indicato lo stipendio e i benefit come centrali, contro il 49%, degli over 55. E una recente ricerca condotta da Deloitte mostra che su 10mila giovani nati tra il 1993 e il 1994, il 43% è favorevole all’idea di cambiare lavoro a due anni dall’assunzione, per aumentare competenze e ampliare la rete di contatti.

Questo dato è rilevante, se si considera che i “millennials” (i nati tra il 1981 e il 1996) sono cresciuti con il mito del posto fisso, come insegnato dai loro genitori e nonni. I giovani professionisti invece spesso studiano da autodidatti e aspirano all’imprenditorialità, il che rende loro difficile ritrovarsi soddisfatti dello stesso posto per sempre. Tendenza questa che si acuisce ancora di più nella Generazione Z.

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Dove è più diffuso il job hopping

Il fenomeno del job hopping in America ormai coinvolge il 64% dei lavoratori. Di certo un mercato di job hoppers può funzionare solo in economie stabili o che abbiano un tasso di disoccupazione basso. In Italia, per esempio, non è così: secondo gli ultimi dati Istat, la disoccupazione tocca punte del 28% per i giovani. La mancanza di prospettive rende quindi più difficile abbandonare un lavoro, anche se malpagato o insoddisfacente.

La statistica dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD) fornisce una panoramica del tempo medio trascorso lavorando per lo stesso datore di lavoro e mostra infatti come gli italiani siano al primo posto, svolgendo lo stesso lavoro per oltre 12 anni, il doppio della media, ad esempio, della Corea del Sud. Sempre in Europa invece i francesi hanno una media di 11 anni, mentre la durata è più breve nel Regno Unito, Svizzera e Danimarca, circa 8 anni.

Come le aziende possono affrontare il job hopping

Quando si pensa ai job hoppers è facile inquadrarli come i protagonisti dei tassi di turnover nelle aziende. Oggi più che mai per i datori di lavoro è fondamentale rendere le proprie realtà attrattive, per carcare di tenere il più a lungo possibile al loro interno i talenti, investendo su di loro e stimolando la loro ambizione, soprattutto se si tratta di giovani professionisti.

La sfida di gestire i giovani ha molto a che fare con il job hopping, perché le nuove generazioni sono ancora più anticonformiste delle precedenti, e diffidenti nei confronti delle istituzioni e del lavoro inteso in senso tradizionale. E per la Generazione Z lavorare in un ambiente psicologicamente sano e non tossico è la priorità.

Alle aziende conviene quindi sviluppare idee e strategie innovative volte ad attrarre, preservare e sostenere gli interessi dei lavoratori. Ad esempio, assicurarsi che le nuove risorse oltre a svolgere i loro lavoro quotidiano, siano in sintonia coi valori dell’azienda e con il team, offrire possibilità di crescita nel medio e lungo termine, evitare il burnout.

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