Intervista a Silvia Zanella | Employer branding: l’asso nella manica che non pensavi di avere

Quando cerchiamo qualcosa, tendiamo ad andarla a cercare lontano. Quando la soluzione potrebbe essere semplice, prima di arrivarci, ne passiamo al vaglio cento molto più complicate. Così, quando ci troviamo a pensare a un modo per aumentare il coinvolgimento delle persone e posizionare meglio la nostra azienda sul mercato, perché vogliamo migliorare la nostra reputation o stiamo per aprire una campagna di nuove assunzioni, puntiamo subito lo sguardo verso l’esterno e le persone già presenti in azienda sono le ultime a cui guardiamo. Una volta che si è imparato a conoscerlo bene, l’employer branding si qualifica come l’asso nella manica che non pensavamo di avere. Silvia Zanella si occupa e scrive di futuro del lavoro, è manager, autrice ed esperta di comunicazione per le risorse umane per una nota società di consulenza: a lei abbiamo chiesto cos’è l’employer branding e in che modo può essere progettato in maniera efficace, per l’azienda e per le sue persone. 

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Cos’è l’employer branding?

L’employer branding è una strategia di comunicazione volta ad attirare e a far sì che le persone considerino positivamente una realtà lavorativa e professionale. Una strategia che costruisce un employee journey composto da tre momenti: prima si crea awareness attorno all’azienda, intesa e raccontata non come creatrice di un prodotto o di un servizio, ma come ambiente, cultura e datore di lavoro; poi, è necessario renderla appetibile al target individuato, cioè alla forza lavoro che interessa portare a bordo; e infine fare in modo che il viaggio delle persone, fino all’uscita, sia il più possibile piacevole e coerente rispetto a quanto si è promesso all’inizio. È una strategia di comunicazione che si differenzia da quelle di marketing tradizionale, che hanno al centro il prodotto o il servizio, perché ha una fortissima necessità di autenticità e quanto più possibile di verità.

E cosa non è?

Non è quindi pubblicizzare l’azienda di per sé. Perché funzioni è necessario che alla promessa segua una reale esperienza positiva. A mio avviso, chi progetta la strategia di employer branding deve capire bene qual è la propria employee value proposition, capire cosa è fattibile e cosa lo è meno, considerando che non è semplice trovare un punto di incontro tra le esigenze organizzative e le aspettative personali. Pubblicizzare tutto, concentrando l’attenzione solo sull’azienda, è rischioso e può rivelarsi controproducente. Ciò che ha molto più senso è, invece, capire quali sono i propri punti di forza e di debolezza e capire come valorizzare i primi e raccontare i secondi, in modo tale da non sconfessarsi al primo ingresso in azienda.

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Quali sono i canali e strumenti utili per un employer branding efficace?

I canali dell’employer branding sono gli stessi del branding tradizionale. Un articolo di giornale, un’uscita mediatica, anche una qualsiasi delle operazioni commerciali portate avanti dalla nostra organizzazioni ha un impatto dal punto di vista dell’employer branding. Così come tutto ciò che è comunicazione interna. Non c’è più una distinzione netta tra la comunicazione istituzionale e la HR communication, non nel senso che non abbiano tratti distintivi, piuttosto, che è necessario che siano coerenti e correlate, perché siano efficaci. Allo stesso tempo, sono da considerare tra i canali dell’employer branding anche i social, i siti web corporate, le specifiche landing di atterraggio dove le persone possono scoprire le nostre offerte di lavoro e capire che tipo di datore di lavoro è la nostra azienda. Allo stesso modo, anche le piattaforme digitali come LinkedIn, tanto per citarne una, richiedono la nostra costante attenzione. Un ultimo canale che, molto spesso, le organizzazioni non considerano sono le persone e la valorizzazione dei loro punti di vista.

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Employer branding e personal branding: quali punti di contatto ci sono?

Nella mia visione, l’employer branding e il personal branding hanno notevolissimi punti di contatto. E non perché i dipendenti debbono fare da megafono alle volontà dell’azienda; quanto invece perché, se siamo coerenti e la nostra strategia è costruita come raccontavo sopra, le persone possono davvero farsi portavoce di una visione aziendale che va al di là di quello che l’azienda produce. Il vantaggio per l’organizzazione è che tali voci hanno una maggiore autenticità, affidabilità, autorevolezza e credibilità; i e le dipendenti possono essere veri propri advocate di come si lavora nella nostra organizzazione. In questo senso, il personal branding agisce come una leva per l’employer branding, dunque è necessario stabilire patti molto chiari tra l’azienda e le persone, così che non ci siano fraintendimenti né utilizzi impropri del personal brand delle persone.

Employer branding e pandemia: quali best practice puoi condividere con noi?

A questo proposito, vorrei citare quello che diceva John Persin a proposito della pandemia. E cioè che, per quanto sia stata chiaramente una catastrofe sanitaria, paradossalmente può aver rappresentato un momento d’oro per la employee experience, perché si sono fatti passi avanti notevolissimi dal punto di vista delle regole, dei tempi, dei modi e degli spazi del lavoro. Con grande fatica oggettiva delle aziende, delle organizzazioni e delle persone. Allora, le vere best practice che mi sento di citare sono state le persone che sono riuscite a mantenere alta la produttività e la motivazione, nonostante tutto. A loro, a mio parere, va il plauso della propria organizzazione e dell’Italia in generale. Perché avrebbe potuto esserci il collasso e non c’è stato, almeno per chi è riuscito a lavorare. Per non parlare poi del passaggio da “non potremo mai fare smartworking” a 7 milioni di persone che lo fanno da un anno e mezzo ogni giorno, per di più, in assenza di strumenti sia tecnologici sia culturali.  Infine, la pandemia ci ha dato una grande lezione di leadership, con una maggiore focalizzazione sulla comunicazione, la trasparenza, e l’ascolto attivo delle persone. Le vere best pratiche sono, per davvero, quelle delle persone e delle organizzazioni che le hanno valorizzate.

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