Grazie e arrivederci: l’importanza dell’offboarding

Nell’ultimo anno e mezzo il mercato del lavoro è divenuto molto competitivo in seguito alle conseguenze economiche della pandemia. Oggi molte persone stanno mettendo in discussione abitudini di vita e aziende troppo lontani dai loro valori o che considerano di eliminare lo smartworking con il finire dell’emergenza sanitaria. Se prima l’obiettivo era il fantomatico posto fisso, oggi le persone desiderano dal luogo in cui lavorano sicurezza, riconoscimento e possibilità di crescita e quando tutto questo viene meno oppure cambiano le aspettative o le prospettive delle persone, queste molto facilmente desiderano spostarsi.

Le persone evolvono ed è importante saperle accompagnare nel loro percorso di carriera, anche quando questo prosegue al di fuori della nostra organizzazione. Secondo una ricerca pubblicata sul Harvard Business Review, un programma di offboarding attentamente progettato è in grado di portare numerosi benefici all’azienda sia in termini di reputation che nell’evitare eventuali contenziosi. Vediamoli in dettaglio.

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Valorizzare l’uscita di una persona

Secondo lo studio pubblicato dal HBR, le aziende oggi tendono a dedicare attenzione e risorse alla selezione di nuovo personale, al cosiddetto processo di onboarding, ma spesso dimenticano di valorizzare i dipendenti in uscita, che se ben gestiti possono invece diventare una risorsa aggiuntiva. L’offboarding è il processo che si mette in atto quando un o una dipendente lascia l’azienda, volontariamente o meno. è un momento simbolico e importante, sia per la persona in uscita, sia per l’azienda che ha l’ultima chance per lasciare un’impressione positiva di sé e dire a chi ha contribuito alla sua crescita: l’ultima occasione di dire “grazie e arrivederci”. Ci vuole attenzione e ci vuole empatia.

ragazzi che festeggiano

Gli obiettivi di un percorso di offboarding ben progettato

L’obiettivo primo di un percorso di offboarding ben progettato è far sì che le persone in uscita continuino a contribuire alla reputation aziendale attraverso il proprio personal branding. Cioè diventino ambasciatori e ambasciatrici sia dell’azienda, dei suoi valori, dei suoi prodotti, nei confronti del mercato; sia, soprattutto, della sua cultura, del clima aziendale, di come si vive al suo interno e dell’attenzione dimostrata nei confronti delle persone.  Come sottolineano Alison M. Dachner e Erin E. Makarius, autrici della ricerca pubblicata sul HBR, non gestire l’offboarding è a tutti gli effetti negativo per l’azienda perché lascia scoperta una parte sempre più vitale della gestione dei talenti, perdendo così  un’opportunità per creare valore a lungo termine.

Employee Life Cycle: dall’onboarding all’offboarding

Si tratta, quindi, di progettare come supportare il valore delle persone dall’ingresso all’uscita. Secondo l’approccio dell’Employee Life Cycle, ogni organizzazione dovrebbe progettare l’esperienza dei e delle dipendenti proprio come si progetta l’esperienza di un cliente quando si relaziona con un prodotto. Dal primo contatto (attrazione), alla procedura di assunzione (reclutamento), passando per l’ingresso in azienda (onboarding), la strada percorsa insieme al suo interno (sviluppo e retention) fino al suo finale (offoboarding). Il ruolo del HR è quello di accompagnare e supportare la persona attraverso queste fasi, muovendosi tra engagement e performance, al fine di far incontrare esigenza organizzative e di sviluppo alle aspettative della persona.

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La complessità dell’offboarding

Accompagnare una persona all’uscita non è mai semplice. Principalmente, sono due i fattori di complessità con cui si trova a che fare il reparto HR nel momento in cui riceve le dimissioni di un o una dipendente. Anzitutto il motivo che ha spinto la persona a lasciare l’organizzazione: potrebbe essere legato a qualche scelta personale, e allora il compito del HR è rendere l’uscita più morbida possibile, con la consapevolezza condivisa che la strada percorsa insieme è stata positiva da entrambe le parti; oppure, potrebbe essere legato a uno scontro, a una diversità di vedute, a un licenziamento o alle conseguenze di una cattiva gestione del team (come abbiamo detto anche in questo articolo, le persone di solito non lasciano l’azienda, quanto invece un pessimo capo) e, allora, qui il lavoro del HR è più complesso perché si muove al limite del contenzioso.

I vantaggi di un offboarding fatto bene

Saper dire “grazie e arrivederci” significa riconoscere che con la persona che ha deciso di cambiare lavoro, perché di questo, alla fine si tratta, né di tradimenti nè di abbandoni, ci è stato uno scambio di valore reciproco. Tra i vantaggi di un percorso di offboarding fatto bene c’è l’employer branding, perché sapere che l’azienda si prende cura delle proprie persone, aumenta la sua attrattività e competitività nel mercato del lavoro nel tempo; un altro vantaggio riguarda l’engagement di chi resta, perché sapere che l’azienda è in grado di accogliere positivamente un licenziamento volontario e di accompagnare la persona all’uscita nel migliore dei modi, contribuisce a creare un clima positivo e aumenta coinvolgimento e benessere delle persone; infine, un buon processo di offboarding è anche in grado di aumentare le prospettive di business perché la persona in uscita che inizia una nuova avventura professionale, mantenendo un buon rapporto con l’azienda, resta come stakeholder e, dunque, porta nuovi contatti, nuove possibilità contribuendo ad aumentare la reputation aziendale verso l’esterno.

La complessità dell’offboarding

Accompagnare una persona all’uscita non è mai semplice. Principalmente, sono due i fattori di complessità con cui si trova a che fare il reparto HR nel momento in cui riceve le dimissioni di un o una dipendente. Anzitutto il motivo che ha spinto la persona a lasciare l’organizzazione: potrebbe essere legato a qualche scelta personale, e allora il compito del HR è rendere l’uscita più morbida possibile, con la consapevolezza condivisa che la strada percorsa insieme è stata positiva da entrambe le parti; oppure, potrebbe essere legato a uno scontro, a una diversità di vedute, a un licenziamento o alle conseguenze di una cattiva gestione del team (come abbiamo detto anche in questo articolo, le persone di solito non lasciano l’azienda, quanto invece un pessimo capo) e, allora, qui il lavoro del HR è più complesso perché si muove al limite del contenzioso.

I vantaggi di un offboarding fatto bene

Saper dire “grazie e arrivederci” significa riconoscere che con la persona che ha deciso di cambiare lavoro, perché di questo, alla fine si tratta, né di tradimenti nè di abbandoni, ci è stato uno scambio di valore reciproco. Tra i vantaggi di un percorso di offboarding fatto bene c’è l’employer branding, perché sapere che l’azienda si prende cura delle proprie persone, aumenta la sua attrattività e competitività nel mercato del lavoro nel tempo; un altro vantaggio riguarda l’engagement di chi resta, perché sapere che l’azienda è in grado di accogliere positivamente un licenziamento volontario e di accompagnare la persona all’uscita nel migliore dei modi, contribuisce a creare un clima positivo e aumenta coinvolgimento e benessere delle persone; infine, un buon processo di offboarding è anche in grado di aumentare le prospettive di business perché la persona in uscita che inizia una nuova avventura professionale, mantenendo un buon rapporto con l’azienda, resta come stakeholder e, dunque, porta nuovi contatti, nuove possibilità contribuendo ad aumentare la reputation aziendale verso l’esterno.

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