Overworking e antiworking: due facce della stessa medaglia nel lavoro di oggi

Oltre alla Great Resignation e al lavoro ibrido, nel mondo del lavoro aleggiano altri due termini che, ancora una volta, mutiamo dall’inglese. Non si tratta di qualcosa di così nuovo, ma che in questo 2022, complice una pandemia di cui ancora avvertiamo ancora pesantemente gli effetti, stanno diventando di uso comune perché descrivono un modo di essere sempre più diffuso. Parliamo di overworking e antiworking che, se ci pensiamo bene, sembrano in antitesi, ma in realtà sono due facce della stessa medaglia. Vediamo di cosa si tratta e come possono influenzare il nostro modo di lavorare, ma anche di rapportarci agli altri.

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Cos’è l’overworking

Anche chi mastica poco la lingua di Londra sa che quell’over indica di solito qualcosa che è al di sopra del consentito. La traduzione di overworking è infatti super lavoro, ma quando ci si trova in una condizione simile? Sicuramente quando si tende ad andare oltre le proprie capacità e non solo oltre il normale orario di lavoro.

I motivi per cui lo facciamo possono essere i più disparati. Per esempio:

1) avere una scadenza dietro l’altra, sia perché non si è bravi a pianificare le proprie attività che per imprevisti vari;

2) siamo stati assunti da poco e vogliamo dimostrare il nostro valore;

3) abbiamo avviato da poco un progetto e l’entusiasmo è a mille;

4) abbiamo scoperto che l’azienda sta per licenziare qualcuno e temiamo di essere i prossimi quindi vogliamo dimostrare il nostro valore;

5) c’è in ballo un premio di produzione e vogliamo ottenerlo;

6) la nostra vita privata non va bene e allora ci buttiamo sul lavoro.

Questi sono solo alcuni motivi dell’overworking, ma come si fa a capire quando si è davvero oltrepassato il limite? Le ragioni per “ammazzarsi di super lavoro” infatti sembrano sempre valide, ma a lungo andare si rischia di farle diventare preponderanti rispetto al proprio benessere fisico ed emotivo.

Infatti, è importante riflettere sul fatto che di overworking alla lunga ci si può ammalare perché un conto è lavorare tantissimo in un periodo limitato – per esempio 2/3 settimane – un altro è farlo diventare una costante della nostra vita. E allora come riconoscere che siamo in over working?

ragazza stressata a lavoro

I sintomi più comuni dell’overworking

Ecco quali sono i sintomi più comuni:

1) Insonnia;

2) stanchezza eccessiva;

3) continua distrazione;

4) sistema immunitario indebolito;

5) work-life balance inesistente.

L’insonnia è qualcosa di davvero deleterio. Perché non solo si è stanchi e non si riesce a dormire, ma il giorno dopo si va in ansia per le tante cose da fare e non si hanno le forze per affrontarle. Così si lavora ancora di più, ci stanca di più e si va ancora più in ansia innescando un vero circolo vizioso che spesso allontana Morfeo & co.

La cosa migliore per superare l’insonnia sarebbe prendersi dei giorni di riposo, possibilmente in posti dove si riesce a riequilibrare il ritmo circadiano del sonno.

Se non è possibile, anche la melatonina può aiutare, ma conta molto sapere ridurre il lavoro, impegnarsi per esempio ad abbandonare la scrivania entro le 18 e fare delle attività che magari possano “stancare” durante il giorno come la corsa, andare in bicicletta ecc…

Inoltre, lo yoga e la meditazione possono dare un enorme mano nel rilassarsi e dare ascolto a se stessi. Se l’insonnia diventa una costante, non è male rivolgersi a uno psicologo, magari usufruendo di quanto predisposto già dalla tua azienda.

Anche essere sempre stanchi non va bene, eppure è una condizione cui tutti ci stiamo abituando. Prova a chiedere ai tuoi colleghi se sono stanchi, ti diranno sicuramente di sì e forse faranno pure a gara a chi lo è di più. Cosa fare allora?

Innanzitutto evita di portarti il lavoro a casa. E se lavori dalla tua abitazione, pensa seriamente ad affittare uno spazio in un coworking o a lavorare in giro, ma, una volta varcata la soglia, niente più lavoro.

Ogni giorno fai un elenco delle attività prioritarie che devi portare a termine, lasciando in fondo quelle che puoi affrontare anche l’indomani. Cerca di avere uno o più giorni liberi a settimana: questo è fondamentale nonché vitale sennò la tua mente è sempre accesa e si stanca, condizionando anche il fisico. Altro consiglio: svagarsi, svagarsi, svagarsi ed evitare di frequentare persone che parlano solo di lavoro. Meglio chiacchierare, a volte, di libri, serie TV, vedere delle mostre, fare delle cose che non c’entrino niente con la professione anche se è la cosa che ci piace di più al mondo. E perché questo avvenga bisogna evitare di uscire solo con i colleghi per due motivi: il primo è che inevitabilmente il discorso cadrà sempre lì e il secondo che, essendo loro parte dell’azienda, tenderanno a giustificare il super lavoro.

L’overworking comporta anche il sentirsi continuamente distratti: quando si hanno troppe cose cui pensare la mente fatica a stare loro dietro. Ecco perché è importante sapersi distrarre per… non essere distratti di continuo.

Cercare di arginare la stanchezza, poi, ti aiuterà ad essere più in forma e avere un sistema immunitario più efficiente. Così come tutti i consigli appena dati vanno in ottica di migliorare il work-life balance.

A questo bisogna aggiungere un aspetto fondamentale e che stiamo forse dando tutti troppo per scontato: abbiamo bisogno di socializzare pertanto di avere del tempo e dello spazio dedicato a noi e agli altri. Decidere al mattino o il giorno prima quando staccare dal lavoro e dedicarsi agli amici e alla famiglia ci aiuterà a fare in modo che questo accada. Se invece “incastriamo” gli incontri con le persone tra una pausa e l’altra o esclusivamente a fine giornata, la stanchezza finirà con il prevalere e, soprattutto al primo imprevisto di lavoro, rimanderemo gli amici. Come fare allora? Comprare in anticipo dei biglietti per il teatro o un concerto, fare pause pranzo non solo con i colleghi ma anche con gli amici, “sfruttare” il lavoro da casa per fare una pausa più lunga e incontrare le persone non solo per pranzare, ma anche per fare una passeggiata, prendere un caffè, chiacchierare. E poi sì, tornare al lavoro.

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Differenza tra over working e burn out

Sebbene overworking e burn out sembrino simili, il secondo è proprio l’apoteosi del primo e avviene quando una persona non solo si sente oberata, ma si sente anche “consumata” dentro. Spesso il burnout poi colpisce le cosiddette helping profession, ossia chi si trova costantemente a contatto con gli altri, ne assorbe i problemi, se ne fa sopraffare.

Anche se sono diversi, entrambi vanno riconosciuti per tempo e, nel caso del burnout, bisogna correre subito ai ripari. Chi ne è colpito, spesso, infatti scivola nella depressione, tende a non uscire più di casa e arriva anche a non voler più andare al lavoro. In questo articolo restiamo sul tema dell’overworking che a lungo andare può confluire nel burnout, ma se ti trovi in una situazione simile è meglio approfondire con un esperto.

Cos’è l’antiworking e com’è nato

Una risposta completamente diversa è quella dell’antiworking, anche se, come dicevamo, è strettamente collegato allo stress lavorativo. In concomitanza con l’avvento delle Grandi Dimissioni, si sta infatti sviluppando un fenomeno attraverso il quale si propugna la “disoccupazione per tutti, non solo per i ricchi”.  Non lavorare, quindi, per essere davvero felici.  Anche in questo caso la tendenza arriva dagli USA e più nello specifico da un canale di Reddit, dal titolo “Antiwork” (che in realtà è nato diversi anni fa, ma che nell’ultimo periodo è particolarmente frequentato). L’elemento comune delle discussioni è infatti che sia “meglio non lavorare che avere un pessimo lavoro”.

C’è anche chi prospetta come soluzione il job hopping, ossia il saltare da un lavoro all’altro, ma, senza entrare troppo nel merito, che si pensi ad abbandonare il lavoro o a cambiare di continuo deve far riflettere sul fatto che ci sia un profondo malessere tra le persone.  Certo, ha a che fare con il grande scossone dato dalla pandemia che ha messo in crisi quasi tutti i lavoratori, ma è anche vero che pensare sia una situazione limitata nel tempo e che non possa avere i suoi strascichi rischia di essere controproducente.

Ecco perché chi si occupa di Risorse Umane deve avere le antenne drizzate e continuare a cogliere i segnali che tutte le persone – chi consapevolmente chi no – danno sul loro benessere al lavoro. Ma non solo: gli stessi lavoratori devono imparare a riconoscere quando stanno superando i loro limiti e individuarli anche negli altri. In fondo, la collaborazione non deve essere solo indirizzata alla produttività ma a creare un vero spirito di squadra.

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