La smart leadership alla prova decisiva

Parlare di smart leadership è impegnativo. Impone già uno sforzo definitorio non banale. Che cosa significa? E’ una caratteristica stabile della leadership (l’essere smart), c’è sempre stata insieme al suo contrario, ossia una leadership insipida e sciocca? Oppure è l’espressione di un fabbisogno emergente di un concetto, declinato in caratteristiche, comportamenti e esiti, che ora deve fare i conti con l’epoca che viviamo e che la vorrebbe per questo “intelligente”, capace di leggere cioè in profondità (intus legere) il contesto attuale?

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In questa cornice di senso, è evidente che la società e il business management hanno un urgente bisogno di smart leader per guidare altri, ottenere risultati in un ambiente VUCA, ossia volatile, incerto, complesso e ambiguo. Non può essere altrimenti. E’ altrettanto facile intuire allora che nell’epoca del post COVID-19 bisognerà far conto su leader smart perché capaci di gestire situazioni inedite, mai affrontate in precedenza, senza storia. Come possiamo apprezzare questa smartness che deve essere capace di leggere, interpretare e governare le nuove dinamiche che la vita (personale, organizzativa, sociale) propone ai nostri occhi? Sentiamo la necessità di poter contare come sempre su qualche modello che ci aiuti e ci dia un orientamento, una direzione verso la quale indirizzare la nostra azione. Quale approccio sarà efficace dunque per gestire organizzazioni e imprese nei prossimi mesi che segneranno il passaggio – sono in molti a scommetterci – dalla fase dello smartworking dell’emergenza a quella dello smartworking strutturale? Probabilmente non ha torto M.S. Rao quando sostiene che la “smart leadership is a blend of soft and hard skills and soft and hard power”.

Quest’epoca, insomma, sembra cercare nuovi paradigmi, ossia schemi suscettibili di essere declinati nella quotidianità della vita organizzativa e di business da persone che si prendano cura di sperimentare tempi e spazi nuovi. Come quelli dettati da un modo di lavorare diverso che richiede approcci culturali differenti, prima ancora che tecniche gestionali. Sono più importanti le abilità in questo contesto o un mindset appropriato per gestire, per esempio, team composti da persone che, a rotazione con buona probabilità, lavoreranno qualche giorno a distanza e altri in presenza? Qual è il presupposto di efficacia? Perché non bisogna dimenticare che lo smartworking, come scrivono i ricercatori del Politecnico di Milano, è “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Nel vocabolario della smart leadership allora ci sono parole decisive come flessibilità e autonomia, nel senso che “lo spazio e il tempo – scrivono Alessandro Donadio e Beatrice Cucchi – si spostano dall’organizzazione alla persona, tornando ad essere suo patrimonio e risorsa”. E’ il mito già rivendicato dai lavoratori nel secolo scorso del lavoro auto-determinato che porta in dote anche altro, due parole di impatto e importanti implicazioni: maggiore responsabilizzazione e risultati.

Si tratta di un cambiamento epocale che ora dovrà farsi strada all’interno di un percorso di trasformazione dell’organizzazione del lavoro (e di chi la guida) e della modalità stessa di vivere il lavoro e il suo senso. Non sarà facile, di ostacoli lungo il cammino ce ne saranno molti a cominciare – come alcuni temono – proprio dai manager.

Le sfide per le imprese saranno davvero numerose e tutte decisive. Varrà la pena accettarle con l’intraprendenza di chi sa di partecipare a una stagione di cambiamenti che lascerà il segno.

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