La settimana corta funziona davvero?

A inizio 2020 Unilever ha dato inizio alla prova della settimana lavorativa di quattro giorni. Il colosso dei beni di consumo avrebbe infatti consentito a suoi 81 dipendenti di lavorare per quattro giorni alla settimana per un anno intero con lo stesso stipendio percepito sino a quel momento per lavorare i cinque giorni.  L’iniziativa è uno degli sforzi più ambiziosi per provare la settimana lavorativa di quattro giorni che, secondo molte persone, lato dipendenti, lato HR e un po’ meno lato aziende, aumenterebbe la felicità, la salute e la produttività delle persone. A causa della pandemia l’esperimento non si è ancora concluso, ma tante sono le realtà che hanno deciso di portare avanti prove di questo tipo. Nello stesso anno, per esempio, Microsoft ha iniziato un’analoga sperimentazione, con l’obiettivo di verificare se effettivamente, e in che misura, la settimana corta funziona davvero in termini di maggiore produttività dei dipendenti e minori costi energetici.

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La settimana lavorativa di quattro giorni: l’esperimento islandese

Dal 2015 al 2019 le prove di settimana corta condotte dal consiglio comunale di Reykjavík e dal governo nazionale hanno coinvolto più di 2.500 lavoratori e lavoratrici, pari a circa l’1% della forza lavoro. All’esperimento hanno partecipato scuole materne, uffici, fornitori di servizi sociali e ospedali, passando dalla tradizionale settimana di 40 ore a una settimana corta di 35 ore. A conclusione dello studio, le persone hanno riferito di sentirsi meno stressate e hanno dichiarato che la loro salute e il work-life balance sono migliorati; inoltre, dai risultati dello studio emerge che la produttività è rimasta la stessa o è persino migliorata nella maggior parte delle aziende coinvolte . «Questo studio mostra che la più grande prova al mondo di una settimana lavorativa più corta nel settore pubblico è stata sotto tutti i punti di vista un successo travolgente», ha detto Will Stronge, direttore della ricerca presso Autonomy, come riportato da Open «Dimostra che il settore pubblico è maturo per essere un pioniere delle settimane lavorative più brevi – e altri governi possono trarne lezioni».

donna che si rilassa davanti allo schermo

La storia della riduzione della settimana lavorativa

Inizia negli anni 20 del novecento con lo storico accordo per ridurre la settimana lavorativa a 48 ore. Prima di allora, come si legge in un accordo firmato tra FIAT e FIOM, l’orario di lavoro prevedeva 10 ore di lavoro al giorno per 6 giorni alla settimana. Un successo anche questo, ottenuto grazie alle proteste e ai movimenti sindacali che nel 1906 hanno visto scendere in piazza a Torino 16.000 operai del settore meccanico, di cui 12.000 donne, per rivendicare le 10 ore giornaliere. Il 10 Marzo 1923 il Consiglio dei Ministri approva finalmente il decreto legge relativo alla riduzione della giornata lavorativa a 8 ore. La riduzione proporzionale e generale delle ore di lavoro aveva l’obiettivo di distribuire il lavoro equamente fra tutte le persone e, contemporaneamente, generare occupazione e ricchezza: lo si legge in uno scambio epistolare tra Giovanni Agnelli a Luigi Einaudi intorno alla metà del novecento. Bisognerà però aspettare gli anni 70, dopo più di dieci anni, per arrivare a conquistare il sabato libero e avere la settimana di 40 ore che conosciamo. 

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Perché la settimana corta?

Abbiamo visto come la settimana attuale sia in realtà il frutto di una negoziazione e di una conquista durata quasi un secolo. E di un dibattito importante tra chi era a sostegno della giornata corta, soluzione che pareva più coerente con l’obiettivo di ridurre la fatica e difendere la salute, e la settimana corta, soluzione che aveva l’obiettivo di migliorare a livello generale l’equilibrio tra vita privata e lavoro. Non sorprende che le lotte operaie abbiano sostenuto in primis la giornata corta per poi, una volta che il boom economico ha spostato la forza lavoro dalla fabbrica all’ufficio, concentrarsi verso la conquista della settimana corta.

Quel che stupisce è che tutte queste rivendicazioni sono sempre state portate dal basso, da movimenti di lavoratori e lavoratrici e da rivendicazioni sindacali; al contrario, chi spinge oggi per una riduzione dell’orario lavorativo settimanale sembrano essere le aziende, più che i lavoratori, che se anche sono consapevoli dei benefici condivisi di una soluzione di questo tipo, non sembrano voler prendere posizione a livello collettivo. Risulta infine evidente che il passaggio alle 35 non potrà limitarsi alla sola riduzione dell’orario, ma dovrà comprendere anche un passaggio culturale importante che riguarderà procedure organizzative e trasformazioni del lavoro come lo conosciamo. In questo senso, il passaggio a un lavoro ibrido tra smart-working e lavoro di ufficio potrebbe essere un buon punto di partenza per un passaggio, seppur temperato, alla settimana corta.

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