Intervista a Guido Stratta – Enel: “Bye bye gerarchia!”

“Sono un velista, per me la squadra che vince è la squadra che gareggia con il cuore”, così è iniziata la nostra chiacchierata con Guido Stratta, Direttore People and Organization di Enel Group dal 1 ottobre 2020, dopo essere stato Responsabile People Development and Senior Executives Business Partner sempre per Enel, di cui è parte dal 2003. Stratta lavora nel campo delle HRO dalla fine degli anni ‘80, è laureato in giurisprudenza all’Università di Torino, appassionato di mare, vela e biologia marina, ha ottenuto un master con lode in biologia marina presso l’Università Politecnica delle Marche.

A lui abbiamo chiesto di condividere il suo punto di vista sui cinque ambiti del settore HR più trasformati dall’ultimo anno di pandemia: talento, engagement, leadership, competenza e diversity.

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1. Talento

Il talento si trova all’interno del cuore delle persone. È come un semino che viene piantato nel terreno. Se si sbaglia il terreno, il fiore non si vedrà mai. Per fiorire, il talento deve trovare l’ambiente giusto. Le aziende hanno sempre visto il talento da un’unica direzione: performance, potenziale, capacità, cultura. Ma per essere visto davvero, il talento ha bisogno dell’ascolto. Il nostro, di ciascuno di noi, verso se stesso, per capire quale terreno è quello giusto per coltivare e far fiorire il nostro talento; e dall’esterno, di chi lavora con noi e ha il ruolo di aiutarci a far fiorire questo talento.

Che, attenzione, è ben diverso dalla passione e dalla competenza. La passione è un interesse profondo che nasce a un certo punto nei confronti di un qualcosa. La competenza, invece, viene acquisita con il tempo e con lo studio e, dunque, possiamo accrescerla. Il talento, al contrario di entrambe, è innato. Possiamo coltivarlo e farlo fruttare meglio, sì, ma solo quando lo mettiamo al servizio del nostro purpose fiorisce davvero: come Direttore People and Organization il mio compito è quello di cercare ciò che fa felice una persona e le permette di realizzarsi, cioè, devo ascoltare le persone e abilitarle alla scoperta e all’utilizzo del proprio talento.

Il talento sprecato è il tema della vita delle aziende: in un sistema gerarchico funzionale, come quello in cui ci troviamo, a comandare è la gerarchia e non il talento, che, invece, è presente a tutti i livelli. Se sappiamo ascoltare, sappiamo cogliere il talento; se invece comandiamo, lo sprechiamo. In questa situazione conseguente la pandemia io vedo un’opportunità grande per ripensare questi equilibri consolidati da troppo tempo.

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2. Engagement

Mi rendo conto di essere una minoranza che attacca, ma spero di essere utile. E mi piace portare un nuovo punto di vista: quando parliamo di coinvolgimento, non esiste un noi e un loro. Ciò che esiste, invece, è l’io e il noi. Nessuno è così bravo da capire da solo i suoi punti ciechi, ma quando si avvicina un’altra persona, lei sa vedere quei punti ciechi e mi può aiutare a migliorare. Il noi apre storie che io non vede e questa relazione è capace di portarci verso la crescita. Se ho l’umiltà di mettere insieme queste altre storie, queste altre visioni, vinco. Il noi potenzia l’io.

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3. Leadership

Umiltà e ascolto sono a mio parere i due atteggiamenti del leader oggi. E prendersi cura delle persone che fanno parte della sua squadra. È quella che io chiamo leadership gentile e che ha due pilastri: il primo è, lo “stare nel fare”, l’execution, che significa che il ruolo del leader è abilitare le persone, senza spaventarmi se sbagliano, ma continuare a prendersi cura di loro, anche nei loro errori, accompagnandole attraverso i feedback. Il leader non gentile, invece, è quello che mette in panchina chi prende i goal. Il secondo pilastro è, poi, l’empatia, lo “stare nel sentire”, che vuol dire, sento le mie emozioni e quelle degli altri, le vivo, le faccio vivere e, insieme, avanziamo.

Come si fa? Io ci sto provando e do l’esempio, anche se, dico la verità, non serve molto. Ci provo da sei anni, a ottobre pensavo che, diventando Direttore People and Organization, finalmente ce l’avrei fatta, ma non è stato così. Ma non incuto paura e non mi interessa esercitare il potere e dunque non riesco a coinvolgere le persone cresciute nel paradigma precedente. Anche perché, come ogni cambiamento, anche quello che sto portando avanti fa paura. Allora, ho cambiato la mia strategia rivolgendo la mia voce e le mie idee verso l’esterno: ho iniziato a parlare con le persone, tutte, anche quelle fuori dalla mia organizzazione, grazie a giornali e social per far girare le idee, così che, quando me ne sarò andato, qualcuno le riporterà all’interno come utili.

L’altro modo infatti con cui cerco di portare avanti questo nuovo paradigma è trasmettere le informazioni a tutti i livelli interessati, le faccio girare, e così facendo ridistribuisco il potere. E anche questo spaventa molto. Non uso la gerarchia, ma l’ispirazione. Bye bye gerarchia, è il mio nuovo motto.

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3. Leadership

Umiltà e ascolto sono a mio parere i due atteggiamenti del leader oggi. E prendersi cura delle persone che fanno parte della sua squadra. È quella che io chiamo leadership gentile e che ha due pilastri: il primo è, lo “stare nel fare”, l’execution, che significa che il ruolo del leader è abilitare le persone, senza spaventarmi se sbagliano, ma continuare a prendersi cura di loro, anche nei loro errori, accompagnandole attraverso i feedback. Il leader non gentile, invece, è quello che mette in panchina chi prende i goal. Il secondo pilastro è, poi, l’empatia, lo “stare nel sentire”, che vuol dire, sento le mie emozioni e quelle degli altri, le vivo, le faccio vivere e, insieme, avanziamo.

Come si fa? Io ci sto provando e do l’esempio, anche se, dico la verità, non serve molto. Ci provo da sei anni, a ottobre pensavo che, diventando Direttore People and Organization, finalmente ce l’avrei fatta, ma non è stato così. Ma non incuto paura e non mi interessa esercitare il potere e dunque non riesco a coinvolgere le persone cresciute nel paradigma precedente. Anche perché, come ogni cambiamento, anche quello che sto portando avanti fa paura. Allora, ho cambiato la mia strategia rivolgendo la mia voce e le mie idee verso l’esterno: ho iniziato a parlare con le persone, tutte, anche quelle fuori dalla mia organizzazione, grazie a giornali e social per far girare le idee, così che, quando me ne sarò andato, qualcuno le riporterà all’interno come utili.

L’altro modo infatti con cui cerco di portare avanti questo nuovo paradigma è trasmettere le informazioni a tutti i livelli interessati, le faccio girare, e così facendo ridistribuisco il potere. E anche questo spaventa molto. Non uso la gerarchia, ma l’ispirazione. Bye bye gerarchia, è il mio nuovo motto.

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4. Competenze

Le competenze delle persone si vedono nel fare. E sono la somma di abilità e capacità tecnico-professionali. Più le funzioni sono intellettuali, più le abilità sono importanti; più le funzioni sono pratiche, più le capacità sono importanti. Abilitare le une e le altre, attraverso l’ascolto e la relazione con le persone, è il mio ruolo ed è il ruolo del leader gentile. Come dicevo prima, il noi potenzia l’io.

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5. Diversity

Purtroppo, la realtà in cui viviamo è fortemente esclusiva. Inclusione mi sembra poi lo slogan su cui tutti siamo d’accordo e su cui poi non agiamo. Non mettiamo le donne al comando in azienda, come non prendiamo il ruolo in casa permettendo a nostra moglie di leggersi un libro, e così via. Lavorare da casa ce lo sta insegnando: non ci sono più barriere tra azienda e società, la fabbrica non esiste più, ci sono le persone. Persone che stanno insieme, in diversi spazi e con diversi ruoli. Non esiste più la gerarchia, i confini sociali. Siamo sempre noi, con le nostre relazioni, la nostra capacità di rispettare gli altri e le nostre community, cioè le reti di persone in cui siamo inseriti.

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