Diversity management e LGBT+: la tua azienda è davvero inclusiva? Intervista a Davide Podavini, Presidente Coming Aut Pavia

L’aggressione alla stazione di Valle Aurelia, a Roma, ai danni di due persone omosessuali, ha messo di recente nuovamente in luce la necessità di una legge che riconosca i diritti delle persone appartenenti alla comunità LGBT+ e condanni le manifestazioni discriminatorie nei loro confronti. In questo vuoto normativo, è legittimo chiedersi anche come ci si può e ci si dovrebbe comportare in azienda, al fine di creare un ambiente capace di accogliere la pluralità e generare inclusione. Lo abbiamo chiesto a Davide Podavini, presidente dell’associazione Coming Aut di Pavia, che dal 2005 si occupa del riconoscimento dei diritti per il benessere della comunità LGBT+ e organizza attività di educazione e formazione sul tema nel territorio pavese.

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Anzitutto, perché è importante domandarsi come inserire in azienda la persona LGBT+?

È importante porsi questa domanda perché le persone LGBT+ subiscono una discriminazione sia all’ingresso nel mondo del lavoro sia al suo interno. Questo accade perché nella società italiana la cultura e il dialogo sul linguaggio e sulla diversità sono fenomeni nuovi e dunque, in mancanza di un formazione aziendale adeguata, si tende a riportare in azienda lo sguardo binario che si è abituati a utilizzare fuori in modo più o meno consapevole. Solo che la società non è binaria, ma plurale, e questo è un dato di fatto.

Mi spiego meglio con un esempio pratico: se io sono abituato a pensare che tutte le donne abbiano un marito, o un compagno uomo, e tutti gli uomini abbiano una moglie o una compagna donna, darò per scontato che questo valga anche per la persona che ho di fronte. Ed è proprio questo dare per scontato che le cose siano come io credo che dovrebbero essere, che porta alla prima manifestazione di discriminazione delle persone LGBT+. Per questo, porsi anche solo la domanda “perché è importante porsi il problema”, è il primo passo verso un’azienda, e una società, più inclusiva e più capace di comprendersi e comprendere la propria pluralità.

Prima dell’assunzione: come capiamo se la nostra azienda è realmente accogliente e inclusiva?

La formazione e l’educazione delle persone è il primo passo. L’obiettivo è dare consapevolezza e strumenti per affrontare la pluralità, senza dare nulla per scontato. Un’attenzione importante va data al contesto. Immaginiamo che, nella nostra azienda, magari nei contesti più informali, alla macchinetta del caffè ieri, nelle chat tra i colleghi oggi, si utilizzi un linguaggio offensivo nei confronti delle persone omosessuali. Stiamo solo scherzando, si dice, giusto? Non per la persona omosessuale, che è costretta a partecipare a tali conversazioni vivendo così una doppia discriminazione: non si sentirà libera nel fare coming out né si sentirà titolata a far presente il comportamento discriminatorio, per paura di diventarne oggetto diretto. La discriminazione omofoba è subdola e silenziosa e passa proprio da quei comportamenti giudicati innocui, ma i cui effetti agiscono come vera e propria violenza nei confronti delle persone LGBT+.

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Prima dell’assunzione: come lavorare in modo efficace sulla cultura aziendale

La scelta più efficace, in questo senso, è organizzare percorsi formativi per tutti i livelli aziendali, a partire dalle Risorse Umane, per la sua duplice funzione di prendersi cura dell’equilibrio interno all’organizzazione e di costituire il primo contatto dell’azienda con l’esterno durante i processi di selezione di nuovo personale. Se la direzione HR è consapevole del fatto che laddove ai vertici delle aziende ci sono solo uomini, le prassi sono meno inclusive, e, al contrario, laddove invece c’è diversity nella governance, l’azienda è non solo più inclusiva, ma anche più produttiva, si tenderà certamente a costruire un board che rispecchi la pluralità della società, per il benessere dell’organizzazione stessa.

Un altro punto di attenzione è certamente il linguaggio. Sappiamo che utilizzare un linguaggio capace di nominare le pluralità presenti in azienda, è un modo per far partecipare meglio e davvero le persone al successo dell’azienda stessa: allora, ben venga la scelta di una policy aziendale che prevede nelle comunicazioni interne l’utilizzo del femminile accanto al maschile o l’utilizzo dello schwa (Ə) o dell’asterisco per comprendere anche gli altri genere oltre a quelli binari uomo/donna; allo stesso modo, comprendere nelle comunicazioni e nelle occasioni in cui il mondo aziendale e la sfera privata dei e delle dipendenti si toccano, come la cena di Natale e così via, anche forme di famiglia diverse da quella tradizionale, può essere una buona prassi da adottare.

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Il colloquio di lavoro come primo contatto: come condurlo nel rispetto della pluralità e delle norme sulla privacy

La legge sulla privacy vieta a chi conduce un colloquio di lavoro di fare domande, tra le altre cose, anche su orientamento sessuale e identità di genere. Tuttavia, sappiamo benissimo che questo accade spesso e volentieri. Il primo ostacolo, per la persona LGBT+, diventa allora quello di dover spiegare al HR aspetti della sua vita che non sono pertinenti con il motivo dell’incontro. Il colloquio di lavoro diventa la difficoltà più grande in particolare per le persone che si trovano in transizione di genere e per cui il nome anagrafico risulta differente dall’identità di genere che la persona esprime. In questi casi, è meglio chiamare la persona con il nome che lei stessa ha scelto per sé.

Di concerto, la persona transgender può accompagnare l’interlocutore aziendale per far sì che questi si rivolga a lui o a lei nel modo più corretto, magari inserendo nel CV il riferimento al pronome che desidera gli o le venga riferito. Ma l’HR deve aver ricevuto una formazione che gli o le permetta di comprendere e accogliere quello che l’altra persona sta riportando. Perché è importante? Perché il rispetto dell’identità di elezione è fondamentale per il benessere psicofisico della persona trans. Se accade il contrario, infatti, la negazione dell’identità porta ad un malessere psicologico e di salute molto forte nella persona, soprattutto se questo accade nel contesto lavorativo, dato che passiamo al lavoro la maggioranza del nostro tempo.

Assunzione: come utilizzare il linguaggio nel rispetto della persona LGBT+

Le persone transgender sono coloro che riscontrato più difficoltà all’accesso al lavoro. Di più se sono donne trans, perché alla discriminazione omofoba si aggiunge la discriminazione sul genere femminile. E ancora di più se sono donne trans di origine straniera, a cui si aggiunge la discriminazione etnica e lo stigma sociale della povertà. Anche quando queste persone trans riescono a superare positivamente il colloquio e ad avere accesso al mondo del lavoro, in ogni caso, le aspetta poi un’altra serie di ostacoli, che nascono dal fatto che attualmente in Italia non esistono normative a sostegno della persona transgender che ancora non ha fatto la richiesta di cambio del nome anagrafico.

Tuttavia, l’azienda può scegliere di modificare quanto possibile verso una maggiore inclusione. Per esempio, prevedere un badge aziendale in cui si può inserire il nome di elezione e non quello anagrafico.

Dopo l’assunzione: quali passi fare e quali possibili stakeholder alleati per l’azienda

Nella mia esperienza professionale, ho notato che l’attenzione alla diversità e all’inclusione è spesso mancante. E, laddove è presente, c’è sempre il rischio che si tratti di una operazione di marketing. Invece, le aziende possono avere un ruolo importante se decidono di fare propri valori che possono portare azioni positive per la società. A partire dal loro interno, utilizzando un linguaggio veramente inclusivo, prevedendo benefit che includono tipi di famiglia diversi e differenti tra loro, arrivando a comprendere che queste azioni hanno come obiettivo il benessere dei e delle dipendenti e il successo dell’organizzazione stessa. Per poi rivolgere le stesse attenzioni verso l’esterno, scegliendo una comunicazione inclusiva, nel linguaggio e nelle immagini, mettendo a disposizione il proprio capitale, economico e sociale, per promuovere valori di eguaglianza e iniziative a sostegno delle persone LGBT+ sul territorio.

In ogni caso, ciò che va ricercato è l’equilibrio tra coerenza e vissuto interno all’azienda e la relazione con l’esterno. L’obiettivo, a mio parere, per un’azienda è quello di portare avanti la consapevolezza e la formazione sul valore della pluralità nella società. Facilitando l’accesso al mondo del lavoro non solo alle donne e alle persone LGBT+, ma anche a chi appartiene ad altre categorie che oggi subiscono discriminazione, come persone di origine straniera e persone con disabilità.

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