Quali sono i motivi per dimettersi? Perché le persone, nonostante aumento di stipendio, miglioramento di carriera e nuovi benefit, continuano a lasciare l’azienda? Se come HR te lo stai chiedendo, nonostante le varie politiche di talent attraction e acquisition messe in atto dall’azienda per cui lavori, forse vale la pena fermarsi e cercare di capire quali decisioni possono esserci dietro scelte così importanti.
D’altronde, i dati parlano chiaro: un lavoro pessimo è sopportabile, un pessimo capo o pessimi colleghi, no.
Secondo il Randstad, Workmonitor 2025 (condotto su 26.000 lavoratori e 35 mercati): il 44% dice di aver lasciato un lavoro perché lo percepiva “tossico”; il 31% ha lasciato perché non c’era abbastanza flessibilità; il 29% ha già lasciato per disaccordo con posizioni o scelte della leadership; il 55% sarebbe disposto a dimettersi se non si sentisse parte del contesto).
Vediamo insieme allora quali sono i fattori che spingono le persone a lasciare l’azienda e quali invece quelli che le invogliano a restare e a investire nella propria partecipazione attiva alla vita dell’organizzazione.
Motivi per dimettersi: perché i dipendenti lasciano l’azienda
Da una ricerca condotta qualche anno fa e pubblicata sulla rivista Psychoneuroendocrinology, è emerso che il rapporto tra l’attività svolta e il mancato riconoscimento dei meriti incide molto più negativamente sulle persone rispetto ad altri fattori, quali per esempio l’orario di lavoro o la tipologia di mansione svolta. In altre parole: un pessimo lavoro è sopportabile, un ambiente di lavoro pessimo no.
Lo rivelano anche le recensioni negative presenti su Glassdoor, social network dedicato a chi cerca lavoro, che sono per la maggior parte riguardanti un capo poco competente, colleghi o colleghe troppo competitivi e, in generale, una mancanza di fiducia reciproca tra persona e azienda.
Il sintomo più comune non è dunque un semplice malcontento, quanto invece uno stress cronico che può divenire patologico qualora le persone non si sentano ascoltate nelle proprie esigenze e aspettative. I ricercatori hanno infatti rilevato un più alto tasso di
cortisolo, elemento fisiologico scatenante dello stress, nell’organismo dei soggetti monitorati dello studio.
Sembrerebbe dunque che le persone si licenziano quando non sono ascoltate, quando non vedono i propri meriti riconosciuti, quando lavorano in un ambiente troppo competitivo alle dipendenze di un capo poco competente e incapace di riconoscere il giusto valore delle persone che compongono il suo team.
Tutte queste mancanze, infatti, sono sufficienti a portare le persone a cercare altro, anche a fronte di situazioni economiche vantaggiose.
Sintetizzando, oggi i motivi che spingono una persona a licenziarsi sono:
- un pessimo capo;
- scarsa riconoscimento del proprio valore e del proprio contributo;
- clima competitivo;
- discriminazione;
- poca flessibilità di tempi e modalità di lavoro.
Attraverso esempi pratici e spunti di riflessione, esploreremo come costruire ambienti inclusivi e produttivi, capaci di valorizzare ogni età e favorire l’apprendimento. Un’occasione imperdibile per chi guida il cambiamento e vuole farlo con consapevolezza.
Perché i dipendenti restano in azienda
Non è dunque una questione, solo, di soldi. Se infatti la proposta economica è un fattore discriminante all’ingresso, non lo è allo stesso modo in uscita.
I fattori che spingono i e le dipendenti a restare in azienda, infatti, hanno molto più a che vedere con quello che Forbes, nel suo stilare la classifica annuale Best Workplaces Italia, chiama Trust Index, cioè l’indicatore della fiducia reciproca tra persone e aziende.
Secondo Forbes, infatti, le aziende migliori dove lavorare sono quelle in cui le persone sanno di potersi fidare dei propri manager. Sono quelle in cui si collabora efficacemente con i propri colleghi e la linea aziendale è stata condivisa in modo trasparente a tutti i livelli dell’organizzazione, al punto che i collaboratori e le collaboratrici si dicono orgogliose delle scelte fatte.
Possiamo quindi riassumere in questo modo i driver del benessere delle persone in un’azienda che le spinge a restare e a investire nel successo dell’organizzazione:
- attenzione ai bisogni della persona;
- la possibilità di comporre il proprio pacchetto di benefit;
- la possibilità di definire insieme gli obiettivi;
- flessibilità sui tempi e i modi di lavoro (smart-working);
- piani di carriera equi, condivisi e facilmente accessibili;
- uno stipendio adeguato alle esigenze e alle mansioni;
- vedersi riconosciuto il proprio valore;
- avvertire il supporto e la stima dei colleghi;
- riconoscere inclusione in azienda;
- vedere soddisfatte le proprie aspettative;
- contare sulla competenza, umana e professionale, del proprio manager.