Oltre alla Great Resignation e al lavoro ibrido che hanno contrassegnato il mondo del lavoro negli ultimi anni, ci sono altri due termini, sempre di matrice inglese, che sintetizzano alla perfezione alcuni stati d’animo e modi di interpretare la propria professione.
Si tratta dell’overworking e dell’antiworking che, se ci pensiamo bene, sembrano in antitesi, ma in realtà sono due facce della stessa medaglia.
Vediamo in questo articolo in cosa consistono e come possono influenzare il modo di lavorare, ma anche di rapportarsi agli altri, cercando anche di capire cosa chi si occupa di Risorse Umane possa fare per gestire al meglio tali condizioni di lavoro.
Cosa significa overworking
Anche chi mastica poco la lingua di Londra sa che quell’over indica di solito qualcosa che è al di sopra del consentito. La traduzione di overworking è infatti super lavoro, ma quando ci si trova in una condizione simile? Sicuramente quando si tende ad andare oltre le proprie capacità e non solo oltre il normale orario di lavoro. Quando, cioè, il lavoro diventa l’unica ragione di vita, l’unico aspetto dell’esistenza che dà un senso a tutto e, quando, quelle poche volte in cui ci si ritrova senza lavorare, si prova una sorta di “crisi di astinenza”.
C’è anche da dire che chi si trova in overworking spesso pensa che sia “solo un periodo”, ma in realtà non è così: spesso le settimane e i mesi passano e tale modalità compulsiva diventa non solo la norma, ma viene addirittura giustificata dalla situazione in cui ci si trova.
I motivi, infatti, per cui le persone vanno in overworking, possono essere i più disparati.
Eccone alcuni:
- avere una scadenza dietro l’altra, sia perché non si è bravi a pianificare le proprie attività che per imprevisti vari;
- essere stati assunti da poco e voler dimostrare il proprio valore;
- avere avviato da poco un progetto con l’entusiasmo è a mille;
- avere scoperto che l’azienda sta per licenziare qualcuno e temere, pertanto, di essere i prossimi: si lavora in maniera ossessiva per dimostra di essere all’altezza per “restare”;
- c’è in ballo un premio di produzione e si vuole fare di tutto per ottenerlo;
- la propria vita privata non va bene e allora ci si butta a capofitto sul lavoro per “dimenticare”.
I sintomi dell’overworking
Questi sono solo alcuni motivi dell’overworking, ma come si fa a capire quando si è davvero oltrepassato il limite? Le ragioni per “ammazzarsi di super lavoro” infatti sembrano sempre valide, ma a lungo andare si rischia di farle diventare preponderanti rispetto al proprio benessere fisico ed emotivo.
Per capire se si è superato quel limite in cui il dedicarsi al lavoro in maniera costante può essere ancora sano, bisogna non sottovalutare alcuni segnali.
Per esempio:
- l’essere costantemente esausti pure se la notte prima si è riusciti a dormire 8 ore;
- di contro, avere l’insonnia o dormire pochissime ore e le altre impiegarle per pensare a soluzioni che hanno a che fare con il lavoro;
- stato costante di tensione: chi è in overworking è teso come una corda di violino, è sempre sul chi va là ed è pronto a scattare per un nonnulla;
- la persona in overworking non è incline ad ascoltare gli altri, anzi, li trascura, magari porta pure a compimento impegni come l’andare a prendere i figli o fare la spesa, ma fa tutto in maniera distratta e sbrigativa;
- chi è in overworking parla solo di lavoro, in modo spesso accorato, pieno di preoccupazione per le scadenze e senza volere ascoltare chi c’è dall’altra parte.
Infatti, è importante riflettere sul fatto che di overworking alla lunga ci si può ammalare perché un conto è lavorare tantissimo in un periodo limitato – per esempio 2/3 settimane – un altro è farlo diventare una costante della nostra vita. E allora come riconoscere che siamo in over working?
Come affrontare l’overworking?
Se non si è in una condizione ancora patologica, si può provare a mettere in atto qualche strategia, senza dimenticare che è fondamentale l’aiuto degli altri, di cui parleremo nel prossimo paragrafo.
Se sei in overworking, prova ogni giorno a fare un elenco delle attività prioritarie che devi portare a termine, lasciando in fondo quelle che puoi affrontare anche l’indomani.
Cerca di avere uno o più giorni liberi a settimana: questo è fondamentale nonché vitale sennò la tua mente è sempre accesa e si stanca, condizionando anche il fisico.
Altro consiglio: svagarsi, svagarsi, svagarsi ed evitare di frequentare persone che parlano solo di lavoro.
Meglio chiacchierare, a volte, di libri, serie TV, vedere delle mostre, fare delle cose che non c’entrino niente con la professione anche se è la cosa che ci piace di più al mondo. E perché questo avvenga bisogna evitare di uscire solo con i colleghi per due motivi: il primo è che inevitabilmente il discorso cadrà sempre lì e il secondo che, essendo loro parte dell’azienda, tenderanno a giustificare il super lavoro.
L’overworking comporta anche il sentirsi continuamente distratti: quando si hanno troppe cose cui pensare la mente fatica a stare loro dietro. Ecco perché è importante sapersi distrarre per… non essere distratti di continuo.
Cercare di arginare la stanchezza, poi, ti aiuterà ad essere più in forma e avere un sistema immunitario più efficiente. Così come tutti i consigli appena dati vanno in ottica di migliorare il work-life balance.
A questo bisogna aggiungere un aspetto fondamentale e che stiamo forse dando tutti troppo per scontato: abbiamo bisogno di socializzare pertanto di avere del tempo e dello spazio dedicato a noi e agli altri.
Decidere al mattino o il giorno prima quando staccare dal lavoro e dedicarsi agli amici e alla famiglia aiuterà a fare in modo che questo accada. Se invece “incastri” gli incontri con le persone tra una pausa e l’altra o esclusivamente a fine giornata, la stanchezza finirà con il prevalere e, soprattutto al primo imprevisto di lavoro, si rimanderanno gli amici.
Come fare allora? Comprare in anticipo dei biglietti per il teatro o un concerto, fare pause pranzo non solo con i colleghi ma anche con gli amici, “sfruttare” il lavoro da casa per fare una pausa più lunga e incontrare le persone non solo per pranzare, ma anche per fare una passeggiata, prendere un caffè, chiacchierare. E poi sì, tornare al lavoro.
Ovviamente, questi sono solo alcuni suggerimenti, ma se ci si accorge di non riuscire a liberarsi da questa dipendenza è importante rivolgersi a un terapeuta.
Cosa può fare un HR per limitare l’overworking?
Chi si occupa di Risorse Umane, può fare più di quanto creda. Innanzitutto, attraverso riunioni periodiche con i responsabili di team, può cercare di sondare il terreno cercando di capire come ci sta organizzando rispetto a un determinato progetto, come si stanno gestendo le scadenze, insomma com’è organizzato il lavoro.
Se si percepisce che le persone sono sotto forte stress bisogna monitorare la situazione e provare a programmare dei colloqui con tutti i membri del team.
Certo, questo richiede tempo, ma è importante: una persona che si occupa di HR e che quindi è “esterna” a un team sarà in grado di cogliere dei segnali che magari chi è capo del team non coglie.
Cosa intendiamo? Se per esempio, per descrivere una situazione negativa, le persone usano le stesse parole, se il linguaggio è permeato di pessimismo o, se di contro, ci si accorge che nel raccontare il proprio lavoro domina l’incertezza anziché la pianificazione.
In base a quello che emerge, si capirà come procedono per favorire l’organizzazione del lavoro ed evitare che dall’overworking si passi al burnout.
In tutto questo, un ruolo importante può giocarlo il business coaching: prevedere delle sessioni one to one potrebbe aiutare tantissimo i membri del team a superare meglio questo periodo.
Differenza tra over working e burn out
Sebbene overworking e burn out, infatti, sembrino simili, il secondo è proprio l’apoteosi del primo e avviene quando una persona non solo si sente oberata, ma si sente anche “consumata” dentro. Spesso il burnout poi colpisce le cosiddette helping profession, ossia chi si trova costantemente a contatto con gli altri, ne assorbe i problemi, se ne fa sopraffare.
Anche se sono diversi, entrambi vanno riconosciuti per tempo e, nel caso del burnout, bisogna correre subito ai ripari. Chi ne è colpito, spesso, infatti scivola nella depressione, tende a non uscire più di casa e arriva anche a non voler più andare al lavoro. In questo articolo restiamo sul tema dell’overworking che a lungo andare può confluire nel burnout, ma se ti trovi in una situazione simile è meglio approfondire con un esperto.
Cos’è l’antiworking e com’è nato
Una risposta completamente diversa è quella dell’antiworking, anche se, come dicevamo, è strettamente collegato allo stress lavorativo. In concomitanza con l’avvento delle Grandi Dimissioni, si sta infatti sviluppando un fenomeno attraverso il quale si propugna la “disoccupazione per tutti, non solo per i ricchi”. Non lavorare, quindi, per essere davvero felici. Anche in questo caso la tendenza arriva dagli USA e più nello specifico da un canale di Reddit, dal titolo “Antiwork” (che in realtà è nato diversi anni fa, ma che nell’ultimo periodo è particolarmente frequentato). L’elemento comune delle discussioni è infatti che sia “meglio non lavorare che avere un pessimo lavoro”.
C’è anche chi prospetta come soluzione il job hopping, ossia il saltare da un lavoro all’altro, ma, senza entrare troppo nel merito, che si pensi ad abbandonare il lavoro o a cambiare di continuo deve far riflettere sul fatto che ci sia un profondo malessere tra le persone. Certo, ha a che fare con il grande scossone dato dalla pandemia che ha messo in crisi quasi tutti i lavoratori, ma è anche vero che pensare sia una situazione limitata nel tempo e che non possa avere i suoi strascichi rischia di essere controproducente.
Ecco perché chi si occupa di Risorse Umane deve avere le antenne drizzate e continuare a cogliere i segnali che tutte le persone – chi consapevolmente chi no – danno sul loro benessere al lavoro. Ma non solo: gli stessi lavoratori devono imparare a riconoscere quando stanno superando i loro limiti e individuarli anche negli altri. In fondo, la collaborazione non deve essere solo indirizzata alla produttività ma a creare un vero spirito di squadra.