Italian Horror Story | Tutti i lati oscuri del Britalian

Il Britalian è il male dei nostri giorni. Ecco, l’ho detto. E lo penso… Sul serio. Non sono un “nazi-linguista” né tantomeno appartengo al filone di quelli che chiamerebbero il computer “calcolatore elettronico”. Il mondo va avanti ed è giusto assecondare anche le evoluzioni della lingua, così come evolve tutto ciò che vediamo intorno a noi.

C’è però una sottile differenza tra accettare l’avvento dei neologismi e storpiare la propria lingua. Spesso, nella mia carriera di trainer ho dovuto “combattere” con alcuni dei miei studenti per fargli capire che sì, l’inglese è importante ed è una lingua globale ma non deve in alcun modo soppiantare la propria lingua madre.

Le lingue sono prima di tutto un fattore identitario. Ogni persona è figlio o figlia della lingua che parla, perché è prima di tutto un legame con la propria cultura, con la propria famiglia, le proprie radici e le esperienze personali. Non importa quante lingue parliamo, ma ognuna di loro rappresenta una personalità e una versione di noi stessi con la quale ci rapportiamo agli altri e al mondo che ci circonda.

Non solo voler mischiare a tutti i costi vocaboli anglofoni con l’italiano è assolutamente inutile ma non rende giustizia né all’una né all’altra lingua. Diciamocelo, il Britalian, detto anche itanglese o anglitano, ha del ridicolo.

Vediamo un esempio?

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“Oggi ho avuto un meeting con un prospect candidate per quella position di internship di cui ti parlavo”.

Ma secondo voi…?

Negli ultimi due anni, questo fenomeno si è acuito anche a causa della pandemia. Dalle famose “droplet” di cui nessuno capiva il significato all’ormai sdoganato “smart working”.

Ah, a proposito, “smart working” non è inglese! Non ha nessun significato…

Vorrebbe forse dire che lavorare in ufficio è un’idiozia? Beh, su questo potrei anche concordare, ma in inglese, la lingua dalla quale teoricamente è stato preso in prestito, l’abbinamento di questi due termini non ha alcun senso: in inglese si dice remote work.

ragazza che presenta alla lavagna

Esistono centinaia di esempi, uno più spassoso dell’altro, ma il punto è perché ci ostiniamo a utilizzare termini di cui a stento capiamo il significato? Io credo che sia una questione di insicurezza. In qualche modo sentiamo l’esigenza di dover appartenere a qualcosa di più grande, di più internazionale, di diverso. In realtà io credo che il rischio di voler soppiantare termini e modi di dire italiani con corrispettivi, più o meno azzeccati, in inglese sia di fatto un’omologazione che non ci rende migliori, ma semplicemente più poveri e meno capaci di esprimerci attraverso sfumature di significato e di contenuto che sono proprie di ogni cultura.

Direi quindi che è arrivato il momento di dare un significato alle parole anglofone che usiamo comunemente e provare a trovare un corrispettivo italiano che già esiste, senza forzature, e senza retaggi di altri tempi…

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Skillato: una persona competente. Skillato, ragazzi… Non si può sentire!

Challenge/challenging: sfida/impegnativo. “Ti lancio una challenge” o “è un periodo veramente challenging” fanno rivoltare nella tomba tutti i grandi letterati italiani. Abbiate pietà.

Booster: richiamo o terza dose non rendono già abbastanza bene l’idea?

Broker: ormai quando stipuliamo un’assicurazione abbiamo tutti il nostro “broker” di fiducia, manco avessimo appena acquistato l’equivalente di un milione di dollari in azioni al Nasdaq. Agente assicurativo ragazzi, su, è semplice semplice…

Packaging: nell’era degli acquisti compulsivi su Amazon, la parola del momento è packaging, che poi quando bisogna scriverla è sempre un interrogativo se si scriva con la “k” o con “ck”. Confezione/imballaggio/scatola.

Device: “ho appena cambiato il mio device” è il nuovo “mi sono comprato il telefono”.

Update: “mi devi assolutamente dare un update”. Aggiornamento. A – G – G – I – O – RNAMENTO… Per la cronaca, ho anche sentito “updatare”, roba da sanguinamento dei timpani.

Random: con le sue varianti “randomizzare” e “randomizzato”. Casuale. A proposito, casual, altra parola usata spesso fuori contesto, non vuole dire casuale/a caso, ma vuol dire informale.

Upload/download: caricare/scaricare. È tanto facile… Eppure, oggi è tutto un “uploadare” e “downloadare” documenti.

Potrei continuare, e la lista è lunga, credetemi. Ma per amor proprio ho deciso di terminare qui. Ovviamente lo dico con il sorriso ma, se amate l’inglese, e soprattutto, se avete a cuore la vita di noi trainers, non usate frasi come quelle che avete letto poc’anzi. Ogni volta che qualcuno dice “skillato”, un insegnante di inglese nel mondo muore…

Abbiate cura della vostra lingua e della vostra appartenenza identitaria, non omologatevi.

Parola di trainer… Ah pardon scusate! Insegnante…

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