Quale impatto avranno le scelte individuali e organizzative che facciamo e potremo fare per migliorare il mondo del lavoro attuale? Quanto contano le parole che usiamo per definire il lavoro e in quali oggi non ci riconosciamo più? E quali vorremmo “portare” in futuro? Ne abbiamo parlato durante l’evento organizzato da Speexx e Skilla il 9 maggio 2024 a Milano. Ecco un racconto della giornata.

Cosa significa costruire ponti nel mondo del lavoro? E quali sono i fenomeni che oggi possiamo osservare, le parole con cui raccontiamo il lavoro e che non ci stanno più bene addosso? E in futuro quale tipo di lavoro vogliamo? Come si trasformerà?

Sono tutte domande che aprono diversi scenari, scatenano discussioni, suscitano profonde riflessioni. Su chi si è e su chi sono gli altri con cui interagiamo, volutamente e spesso casualmente. 

Sono anche le domande che hanno contrassegnato il primo evento in presenza di quest’anno organizzato da Speexx insieme a Skilla, rivolto a chi lavora nel mondo Risorse Umane e in generale con le persone dal titolo “Costruire ponti, creare futuro. HR e rivoluzione antropologica: insieme verso il futuro del lavoro sostenibile” che si è tenuto il 9 maggio 2024.

Un evento che, come introdotto da Oliver Albrecht, Director e Vice president di Speexx e Federico Amicucci, CEO, Business & Strategy Director di Skilla, ha voluto essere un momento per “potenziare le lenti con cui costruiamo il futuro e suggerirci una ‘postura’”. 

All’ultimo piano di @Spazio S32 a Milano (zona Isola) persone che lavorano come HR nelle aziende, giornalisti che si occupano di lavoro con approccio critico e coach si sono incontrati per provare a dare delle risposte.

Sommario

In quali parole del mondo del lavoro attuale non ci riconosciamo?

Ma la prima domanda che ha aperto la tavola rotonda, moderata dalla giornalista Maria Cristina Origlia, dal titolo “Quel che resta del lavoro. I fenomeni globali e il futuro del lavoro che è già qui”, l’abbiamo rivolta noi di Speexx, insieme a Skilla, al pubblico, cui abbiamo chiesto:

“Qual è una parola che non sopporti nel mondo del lavoro attuale?”

Le risposte, anzi le parole, arrivate tramite sondaggio su Mentimeter, sono state diverse, alcune più inflazionate di altre. 

Una di queste è per esempio “talento” con il suo plurale “talenti” così come “opportunità”, e “resilienza”. Altre che sicuramente generano curiosità – in un mondo in cui anche flessibilità è una parola molto usata – sono timbratura, timbrature che fanno il paio con orari fissi e badge. Compaiono opportunità e grande opportunità così come fanno capolino anche talent attraction e high potential.

menti domanda 01

Uso ossessivo dell’inglese per concetti che non abbiamo il coraggio di esprimere

E proprio in merito alla forte anglofilia che contrassegna il mondo del lavoro attuale, Silvia Zanella, manager, autrice e LinkedIn Top Voice Lavoro, ha ricordato come la ricerca ossessiva dell’inglese sia dettata dal fatto che “ci sono concetti che non abbiamo il coraggio di dire in italiano quando è invece necessaria una ‘decostruzione del lavoro’ che porti a una ricostruzione con un’ottica centrata davvero sulla persona”. 

Per Zanella tra le persone che non ci rappresentano più nel lavoro attuale c’è “dipendenti” su cui si trova d’accordo anche Fabio Salvi (i due portano avanti una “crociata” su LinkedIn). Questo perché “oggi le persone hanno bisogno del loro tassi di libertà di espressione e devono avere la capacità di dire delle cose dal basso. E ciò non è possibile se ‘dipendono’ da altri”. Tra le parole che, invece, dovrebbero entrare di diritto nel lavoro, Zanella ha menzionato “felicità come dovere organizzativo” e “vulnerabilità come aspetto dell’organizzazione perché porre condizioni di sicurezza psicologica è altrettanto importante”.

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Immobilismo, resistenza e staticità

Per Andrea Paoli, Direttore Risorse Umane di Coopservice, tra le “parole insopportabili” c’è immobilismo di pari passo con resistenza e staticità perché nella vita ordinaria quello che rileva “è un numero diffuso di situazioni in cui vengono effettuate azioni di contrasto al cambiamento, in cui ci si aggrappa allo status qui e al ‘è stato deciso di fare così o mi è stato detto di fare così. Forme di resistenza passiva che bloccano tentativi di introdurre soluzioni innovatrici o trasformazioni nei processi e nei modi di lavorare. Di fatto sono sintomi di atteggiamenti che testimoniano una vera e propria mancanza di iniziativa”. 

Paoli ha poi presentato un’analisi sulle differenze tra generazioni, ricordando come, per esempio, in alcune di esse, tra cui la Y, da un’analisi effettuata da Coopservice, non ci sono dirigenti. Un aspetto su cui bisogna riflettere e sicuramente una differenza da considerare, insieme a tante altre, quando si vogliono davvero costruire ponti tra le persone.

STEM, competenze ed employability tra le parole su cui puntare

Sabina Leoni, Responsabile Academy Banco BPM, che è stata nostra ospite nel white paper “Il futuro del lavoro e delle competenze”, ha ricordato come digitalizzazione sia una parola che ha avuto un ruolo importante nel mondo del lavoro bancario perché ha portato una serie di cambiamenti dal grande impatto, tra questi il fatto che non ci sia più solo necessità di laureati in Economia, ma persone appartenenti all’area STEM. 

Tra le parole invece che non vorrebbe più sentire “c’è malessere. Dovremmo aiutare le persone a preoccuparsi del proprio aggiornamento professionale e a farle lavorare sulla loro employability”.

Creare un ponte tra mondo non profit e profit

Roberto Battaglia, Chief Operating Officer Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, ha portato nel dibattito l’attenzione verso il mondo non profit, facendo riflettere sul rapporto che c’è tra quest’ultimo e il mondo profit. 

“Si tratta di un rapporto che attiva sempre più delle sensibilità, abbiamo riempito i bilanci sociali di iniziative, prestiamo attenzione a dire delle cose cose sostenibili e spesso questo rapporto ha come forma più semplice la donazione. Eppure ci sono delle opportunità che potrebbero arricchire il tasso intellettuale di entrambi, esplorando territori nuovi e grazie a nuove progettualità che dovrebbero aiutarci a perdere il controllo reciproco.

Un ponte, nel mondo del lavoro, che “potrebbe portare a nuove commistioni e a pensare che nelle strategie ESG che le aziende oggi attuano si potrebbe considerare la possibilità di contaminarsi con esperienze per cui il terzo settore può essere un acceleratore”.

Durante la tavola rotonda sono emerse ancora considerazioni sul senso del lavoro, sui feedback, sul mondo ESG e tanto altro.

Il lavoro tra fact checking e narrazione “esasperata” 

Tra la prima e la seconda tavola ha avuto luogo l’intermezzo “La rivoluzione antropologica e la cultura del lavoro che cambia”, con Osvaldo Danzi, editore di Senza Filtro, giornalista e recruiter e Charlotte Matteini, giornalista e fact checker. 

I due, alternandosi a vicenda, hanno raccontato il mondo del lavoro dando voce (e ritmo) a diversi temi di cui spesso non si parla o si parla solo in parte. Tra questi, il fatto che non si trovino lavoratori ma spesso, “le aziende non è chi li cerchino così bene”, la mancanza di chiarezza sullo stipendio proposto, la falsa “narrazione” che non vuole affrontare il tema delle Grandi Dimissioni o che, quando parla di persone felici che lasciano il lavoro (come il caso di un commercialista diventato rider), non sta di fatto raccontando la realtà. 

Danzi ha posto l’accento sull’importanza di usare le parole giuste già a partire dagli annunci di lavoro che creano un ambiente tossico: “La gente che parla in un certo modo quando cerca lavoratori, in realtà riflette quello che è all’interno”.

Tornando poi a una parola che è stata indicata come “insopportabile”, Danzi e Matteini hanno concluso con una domanda “Chi è il talento che supervisiona i talenti?”.

osvaldo danzi e charlotte matteini

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Le parole del futuro: benessere, fiducia, apprendimento

L’intermezzo ci ha poi “traghettato” verso l’ultima tavola rotonda dedicata al futuro del lavoro dal titolo “Le generazioni di oggi, domani e l’AI. Come si trasformerà il mondo lavoro”, sempre moderata da Origlia.

Anche in questo caso, abbiamo iniziato ponendo una domanda al pubblico:

Una parola sul mondo del lavoro che porterai con te nel futuro?

Tra tutte le risposte, come potete vedere dall’immagine, emerge benessere, seguita da fiducia, continuare a imparare, fiducia e flessibilità. Fanno capolino anche occupabilità e partecipazione. 

Tutte parole che, come ha ricordato Beniamino Pagliaro, editor per Repubblica e ideatore di Good Morning Italia, devono indirizzare verso una via diversa da quel racconto a volte banalizzante che caratterizza il mondo del lavoro. Il giornalista ha ricordato come sia importante, nel suo mestiere, capire quando c’è davvero una tendenza su cui insistere. 

Altrettanto importante è “combattere gli standard, nel senso che all’interno delle organizzazioni non bisogna accontentarsi di una buona pratica singola, ma deve diventare diffusa”.

Intelligenze, diversità e molteplicità di saperi

Gianna Martinengo, fondatrice e presidente DKTS, Digital Knowledge Technologies Services, ha puntualizzato il ruolo della parola “intelligenze”, il cui plurale non è affatto casuale. “Esistono intelligenze di diversi tipi, naturale, emotiva, age intelligence e tanto altro ancora. Intelligenze che dobbiamo usare anche nella capacità di affrontare il lavoro così come nell’affrontare competenze che ci servono nella vita e legate alla relazione”. 

Martinengo si è soffermata molto anche sull’Intelligenza Artificiale ricordando come “la cultura dell’AI preveda un binomio fortissimo tra cultura umanistica e cultura scientifica”.

Sulla scia di questo ultimo intervento Fabio Salvi, ha messo l’accento sulla pluralità di intelligenze e di diversità che saranno sempre più necessarie nel mondo del lavoro del futuro, per superare quella dialettica “giusto-sbagliato” in cui siamo fortemente immersi e che fa sì che “anche quando includiamo non facciamo altro che mettere nel giusto chi stava dalla parte sbagliata”. 

Altro aspetto importante è il fatto che dobbiamo valorizzare la molteplicità di saperi, educando le persone a farlo e portando in azienda persone come poeti e artisti. In fondo, ritornando sull’AI, Salvi ha precisato che “il prompt non è altro che educare a fare domande di qualità: servono principi di analisi computazionale o capacità di saper pensare?”.

Il coaching funziona solo se le persone vogliono davvero evolvere

Sul senso delle domande è intervenuta Emi Bici, Head of Coaching Science in Speexx, che ha spiegato come il business coaching non debba lavorare per diminuire l’importanza delle persone. “I coach sono lì per aiutare a fare delle domande specifiche in base a quello che queste hanno detto e ai pensieri che hanno condiviso. Ma il coaching non funziona se la persona non vuole farlo, funziona invece quando le persone vogliono evolversi. Una domanda non è qualcosa che mette un punto, ma è qualcosa che ci fa evolvere. Ed è qualcosa che dovrebbero fare anche le aziende”.

In merito alle aziende, Federico Amicucci ha posto l’accento sul ruolo dell’imprenditore chiedendosi, più che cosa cambierà rispetto a questo, cosa invece non è destinato a cambiare. Ha quindi ricordato alla platea quali sono i 3 elementi – o meglio le 3 parole – che “come imprenditore non posso mai perdere di vista, sono le mie attività/responsabilità chiave: visione, cultura e scelta delle persone”.

Amicucci ha poi parlato di una cultura nuova, che dovrà esserci in futuro, e deve essere la cultura dell’apprendimento che si basa sulla trasparenza e sul creare un ambiente di lavoro dove le persone si sentano scelte e rispetto al quale pensano valga la pena starci.

In fondo, come noi di Speexx pensiamo da sempre, nessun cambiamento vero nel mondo del lavoro può esistere se non si coinvolgono davvero le persone e si dà loro la possibilità di capire chi sono e chi vogliono essere. Tutte cose in cui crediamo e che cerchiamo di portare avanti grazie ai nostri servizi di business coaching, ma soprattutto a eventi come questi che sono dei veri e propri contenitori di riflessioni che vorremmo si scatenassero ancora e ancora.