Verso la ridefinizione di un ruolo: il mondo HR nell’era del passaggio da “risorsa umana” a “talento aziendale”

Il termine “risorsa umana” nasce ormai molti anni fa, nel lontano 1893, quando viene utilizzato per la prima volta da John R. Commons nel libro “La Distribuzione Della Ricchezza”. E’ da allora che il lavoratore dipendente viene identificato come “capitale fisso” (capital asset in inglese), una parte del grande ingranaggio rappresentato dalla macchina aziendale. Il “bene” che è il lavoratore viene naturalmente gestito dal comparto HR, che è appunto quello adibito all’organizzazione delle “risorse umane” in azienda; data la particolarità e l’intrinseca dinamicità della componente umana che rappresenta il suo ambito di influenza lavorativa, non stupisce che proprio il ruolo dell’HR stia andando progressivamente incontro ad una serie di cambiamenti.

Non è poi così sbagliato vedere nel dipendente una “risorsa” umana, se la si considera nel senso proprio del termine, vale a dire come capacità a disposizione, una riserva materiale o spirituale. In questo senso, nel mondo della gestione dei dipendenti sta prendendo sempre più piede un’evoluzione del concetto di lavoratore, che da “capitale fisso” si trasforma in persona che lavora e talento al servizio dell’azienda. La conseguenza è che il mondo della gestione delle “risorse umane” si stia orientando verso una visione, e una connessa terminologia, che vede la valorizzazione della persona al centro. Così in alcune compagnie, soprattutto oltreoceano, l’HR diventa Chief People Officer, VP of People Operations o, come nel caso di Pat Wadors del noto social Linkedin, VP of the Global Talent Organization.

Se il lavoratore è sempre meno “risorsa” in senso materiale ed economico e sempre più “talento” a disposizione dell’azienda, non stupisce che la formazione umanistica del manager stia ritrovando quella considerazione che per anni era stata offuscata da una preponderanza di studi in ambito socio-economico. Massimo Egidi, rettore dell’università Luiss di Roma, ha giustamente notato che per formare buoni manager occorrono “creatività, autonomia intellettuale, spirito innovativo”, tutte doti che si rafforzano e approfondiscono tramite lo studio della “psicologia, della storia, della politica”. Il lavoratore è un talento che va gestito, sì, ma anche valorizzato, e per poterlo fare al meglio sono necessarie apertura mentale e capacità di capitalizzare qualcosa che non è più “risorsa” pura e semplice, ingranaggio di una macchina, ma diventa piuttosto persona al centro dell’ingranaggio stesso, al pari però di tutte le altre.

In un articolo pubblicato su Forbes, Jacob Morgan ha provocatoriamente definito il comparto HR come un dipartimento ancora importante, ma sul viale del tramonto. Bisogna però tener presente che, sebbene sia ormai in corso in alcune realtà aziendali, il cambiamento di prospettiva sulla visione delle “risorse umane” non sarà di certo immediato e in ogni caso non potrà mai condurre ad una definitiva perdita del compartimento di gestione di quello che era il “capitale umano”. Piuttosto, si potrà certamente parlare di un ripensamento e una ridefinizione del concetto di HR che, da gestore di una serie di dipendenti al servizio dell’azienda, diventerà piuttosto un coordinatore e valorizzatore di talenti che collaborano per la buona riuscita della mission aziendale.

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